di Giovanni Cavalcoli
Zizzania: nella Chiesa e nella politica |
La pretesa di correggere gli
altri in base alla propria soggettiva verità è far loro violenza, è mancanza di
carità, è uno spezzare la comunione fraterna, è un mettere zizzania, un turbare
la pace. Dio pertanto perdona sempre e non castiga nessuno. L’inferno e il diavolo non esistono. Nella confessione non si devono dire i peccati ma render testimonianza della propria retta intenzione e ringraziare Dio per i doni ricevuti.
la pace. Dio pertanto perdona sempre e non castiga nessuno. L’inferno e il diavolo non esistono. Nella confessione non si devono dire i peccati ma render testimonianza della propria retta intenzione e ringraziare Dio per i doni ricevuti.
I buonisti sono lupi travestiti
da agnelli. Si ritengono e sono ritenuti da molti, anche negli ambienti della
Gerarchia, l’esempio del cattolicesimo moderno, più avanzato e postconciliare. Predicano
la carità, la misericordia, il dialogo, il rispetto del diverso, l’ecumenismo,
la comunione fraterna, la pace. Si mostrano pii, beneducati, di buone maniere.
Con chi la pensa come loro sono miti agnelli, dolci, amichevoli, affabili. Ma
se qualcuno si azzarda a confutarli, digrignano i denti, mostrano le zanne del
lupo e lo sbranano.
Secondo i buonisti, contro
l’evidente insegnamento del buon senso e del Vangelo, non esistono “buoni “ e
“cattivi”, giusti ed empi, santi e peccatori, ma tutti siamo buoni e tutti
siamo peccatori, peccatori perdonati, quindi tutti salvi grazie all’infinita e
incondizionata misericordia divina.
Viceversa il Vangelo non fa che
riprendere la tematica veterotestamentaria, presente soprattutto nei Salmi, la
quale svolge su molti toni il contrasto tra giusti ed empi, santi e peccatori,
Spesso emege la figura del giusto perseguitato dai nemci. Indubbiamente si invoca
la giustizia divina
Voler ritenere qualcuno come
malvagio, empio, eretico o cattivo è secondo loro segno di un presunzione, uno
“sparare” agli altri - come dicono - un voler ergersi a giudice del fratello, è
un giudizio temerario che mostra mancanza di carità, cattiveria[1]
o demenza. È segno di una mentalità superata, ristretta, rigida e manichea, che
ignora l’universale chiamata alla salvezza e il valore del dialogo
interreligioso.
I buonisti si presentano come i
più avanzati interpreti del Vangelo, secondo il metodo “storico-critico”, e
fautori di una convivenza umana ed ecclesiale ragionevole, giusta, pacifica, serena,
ottimista, rispettosa dei diritti umani soprattutto degli emarginati, dei più
deboli e dei più poveri. Naturalmente c’è del buono in questa loro mentalità,
ma è falso che essa rifletta veramente il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa
postconciliare.
Al contrario, ciò che emerge da
un’onesta, limpida e giudiziosa coscienza morale naturale e soprattutto dagli
insegnamenti della Sacra Scrittura e della Tradizione ecclesiale, compresa
quella dei Santi e dei Dottori, è che in questo mondo, come dice Cristo stesso,
esiste il “grano e il loglio”, tra di loro mescolati e che saranno separati
definitivamente solo nel Giorno del Giudizio universale, alla fine del mondo e
al Ritorno di Cristo Giudice dei vivi e dei morti.
È vero che Cristo ci comanda di
non voler far subito noi questa separazione, per timore di commettere
ingiustizie, ossia di colpire degli innocenti, e di lasciare al Padre celeste
il giudizio finale riguardante chi si salva e chi non si salva. Ma intanto
Cristo, in queste sue raccomandazioni, non esclude per nulla che sia almeno
possibile fin da adesso saper distinguere o discernere, benchè imperfettamente
e solo incoativamente, il grano dal loglio, sia pur col rischio di sbagliare.
Per questo S.Agostino osserva
che Cristo non proibisce in senso assoluto di separare grano loglio sin da
adesso, nella misura in cui ciò è
possibile. Infatti, numerosi sono gli insegnamenti di Cristo nei quali Egli
parla della legittimità del potere giudiziario terreno, del dovere della
correzione fraterna, di seguire i buoni esempi e di fuggire i cattivi.
Ora, tutto ciò sarebbe
impossibile e illecito se dovessimo interpretare la parabola del grano e del
loglio in senso così drastico e massimalista da strapparlo dal suddetto contesto.
La interpreteremmo falsamente, come appunto fanno ipocritamente i buonisti, i
quali invece, come ho detto, non si peritano poi affatto di condannare e perseguitare
senza misericordia coloro che ricordano loro la verità del Vangelo e smascherano
le loro menzogne e la loro mala fede.
Chi vuol vivere invece il
Vangelo, si accorge della differenza tra i buoni e i malvagi, sa separare i
buoni esempi dai cattivi, anche perché deve seguire i primi e fuggire i
secondi. Se vogliamo veramente seguire Cristo, ci accorgiamo di chi ci mostra
veramente il volto di Dio, di chi ci ama col cuore di Cristo, di chi ci guida
al cielo, ci illumina, ci corregge, ci conforta e ci consola nel nostro cammino
di fede: sono i santi del cielo e della terra, sono i giusti, è il buon grano.
Viceversa ci accorgiamo anche
di chi oscura il volto di Dio, di chi ci odia e ci disprezza perché siamo di
Cristo, fingendosi magari cattolico, di chi ci vuol sedurre o ingannare perché
magari lui è stato ingannato per primo, di chi ci vuol scoraggiare sulla via
del Vangelo e della santità, o della
fedeltà alla Chiesa o alla sana dottrina, di chi ci mette i bastoni tra le ruote
nel nostro cammino verso Cristo, di chi ci calunnia presso i buoni, di chi ci
vuol separare da loro mettendoceli in cattiva luce, di chi, famoso teologo, ci
presenta un Cristo falso e ingannevole, di chi ci tenta al male e vuol condurci con lui all’inferno, magari negandone
l’esistenza.
Ciò ci fa dire col Salmista: “Il giusto mi rimproveri e mi corregga, ma l’olio
del peccatore non unga il mio capo”. Cristo ci dà il discernimento
necessario per distinguere chi sembra buono ma non lo è e chi sembra cattivo ma
è buono, per separare il bene il male che c’è in ciascun di noi, comprendendo
che quaggiù non c’è santo che non abbia difetti e non c’è persona così malvagia
che non abbia lati buoni e non possa convertirsi.
Indubbiamente tutti corriamo il
rischio di separare giusti e peccatori in modo rigido, assolutista e schematico
e quindi ingiusto - questo è più il vizio di un tempo delle condanne a morte
degli eretici e delle leggende gonfiate sui santi.
Dobbiamo fare molta attenzione
a evitare questo errore e invece dobbiamo seguire passo dopo passo la condotta di ciascuno,
anche perché sempre possibile che il malvagio si converta e ci si avvicini, e
il buono si corrompa e ci abbandoni.
Una parte di verità nella dottrina
dei buonisti è data dall’accorgimento, del resto oggi ben noto e praticato, di
essere cauti nel giudicare delle intenzioni o addirittura di astenerci totalmente,
in base all’importante avvertimento biblico che “l’uomo vede l’apparenza,
mentre Dio vede il cuore”.
Ciò però non vuol dire che in alcuni casi, soprattutto
se abbiamo responsabilità educative o di governo o di pastori, non abbiamo la
possibilità e il dovere di discernere e riconoscere, con attento esame, le intenzioni, giacché un’opera veramente ed efficacemente educativa deve poter cogliere, per
quanto è possibile, l’orientamento interiore del soggetto, onde poter suscitare
e rafforzare in lui la retta intenzione e un giusto senso di responsabilità. Qui
vediamo quanto è importante la funzione del confessore o del direttore
spirituale, che conosce profondamente in Dio la nostra anima.
Resta comunque vero che, anche quando non c’è
modo di sapere con quale intenzione uno ha peccato o ha agito bene, è sempre
doveroso rilevare il fatto oggettivo, se non altro come esempio di una condotta
oggettivamente sbagliata o corretta, indipendentemente da colpe o meriti.
Invece il famoso “non giudicare”
di evangelica memoria facilmente viene frainteso dai buonisti, come se qui Gesù
facesse le lodi dell’opportunismo o dell’astensionismo o del tenersi fuori per
non avere noie. Nulla di tutto questo. È vero che quando non siamo sicuri del
giudizio da dare, è bene che ci asteniamo dal giudicare.
Tuttavia già il filosofi sanno
che la facoltà del giudizio è l’attributo più elevato che qualifica la dignità
della persona. Giudicare in sé e per sé, ci dicono i logici gli psicologi, è un
atto normale, spontaneo e doveroso della ragione. Tutto sta nel vedere come e perché giudichiamo. Tutta la questione è quella di saper giudicare, essere saggi e
giudiziosi nei giudizi, e questa è un’arte difficile per imparare la quale non
basta una vita.
Se prendessimo invece alla lettera,
fuori dal contesto, il “non giudicare” evangelico, finiremmo nell’apologia
della stoltezza o addirittura della demenza e offenderemmo Dio che ci ha dato
una facoltà così alta per distinguere il vero dal falso e il bene dal male, una
facoltà, dall’uso della quale dipende il nostro destino eterno, nel bene come nel
male.
Cristo stesso, come è noto, in
quel medesimo luogo dove comanda di non giudicare, dà poi una regola ben precisa
pel giudicare: “Nel modo in cui voi giudicate gli altri, sarete da Dio giudicati”.
Quindi bisogna ben giudicare, ovviamente sempre con giustizia, prudenza, oggettività
e carità, ma si tratta di farlo appunto secondo il criterio e le modalità che
ci sono insegnati da Cristo e con Lui da tutta la tradizione della Chiesa e dei
santi.
Nel dubbio o nell’incertezza se
dar un giudizio positivo o negativo, soprattutto d’innocenza o colpevolezza, è
consigliabile, se proprio ci vogliamo o dobbiamo pronunciare, cadere nell’ingenuità
piuttosto che nella diffidenza: meglio infatti scusare un colpevole che diffamare
un innocente.
Questo è ciò che ci chiede la misericordia,
la quale, com’è noto, deve prevalere sulla giustizia. Diversa è la funzione dell’autorità
giudiziaria, che invece deve attenersi a stretti doveri di giustizia anche se,
come insegna la saggezza romana, pure in questa sede non stona l’esercizio
della clementia.
La dottrina evangelica circa
questa questione del discernimento del grano e del loglio è di grande saggezza
e consolazione, perché, se da una parte ci responsabilizza evitando una pigra e
ipocrita fiducia nel giudizio divino, dall’altra parte ci mantiene cauti, umili
e modesti, rassegnati alle temporanee ingiustizie, perché sappiamo che comunque
in cielo c’è un Dio che vede tutto, infallibile e sapiente, che al momento
giusto farà giustizia con misericordia.
[1] Per l’occasione i buonisti ammettono
l’esistenza della cattiveria, che del resto essi non perdonano.
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