I mali della Chiesa

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di Giovanni Cavalcoli
In uno dei suoi ultimi articoli su Il Corriere della Sera il Card. Martini affermava che mai la Chiesa è andata bene come oggi, e tra le prove di quest’asserzione portava quella che abbiamo grandi teologi, come per esempio Karl Rahner.

Ora, chi conosce veramente Karl Rahner e lo valuta in base agli insegnamenti della Chiesa e della sana ragione, troverà in questo giudizio del famoso Cardinale non certo una prova a suo favore, ma una prova a suo carico, considerato che da cinquant’anni il famoso Gesuita tedesco è stato in molti modi confutato da una schiera di studiosi perfettamente cattolici, a cominciare dai tedeschi, benchè, come sappiamo, la fama di Rahner sia tuttora diffusa in molti ambienti ecclesiastici, né l’autorità romana sia ancora intervenuta in modo significativo ed adeguato per condannare i suoi errori, salvo a suo tempo una censura di Pio XII che oggi è completamente dimenticata[1].
Il Padre Cornelio Fabro, uno dei massimi teologi e filosofi cattolici del secolo scorso, denunciava Rahner come uno dei maggiori responsabili dello “sconquasso” in campo teologico che hanno fatto seguito al Concilio Vaticano II, benché questi naturalmente sia del tutto esente dalla responsabilità di aver avallato gli errori di Rahner e sia quindi
del tutto immune dal suo influsso negativo. E dovrebbe essere evidente che una crisi della teologia non è senza conseguenze e presupposti nella vita della Chiesa e del Popolo di Dio.
 Infatti il pensiero teologico nella Chiesa dà la misura del comune clima culturale e soprattutto, nel suo aspetto morale, esercita un notevole influsso sui fedeli e rispecchia la condotta stessa dei teologi, anche se è vero che l’elemento determinante del clima morale-dottrinale della vita concreta della Chiesa è dato da come i pastori guidano la Chiesa. Sono i buoni pastori che formano il buon gregge, anche se può darsi che certi buoni pastori non siano seguiti dal gregge o che il gregge non per colpa sua abbia cattivi pastori.
Per questo, anche l’influsso dei teologi sui fedeli è legato alla condotta dei pastori, giacchè anche i teologi, a parte la loro cultura teologica, non sono in fondo che fedeli come gli altri, anche se capita che alcuni pretendano di saperne in fatto di fede di più del Magistero.
Capita tuttavia che il Magistero, benchè resti sempre depositario della verità cattolica, manchi di quella prudenza e fortezza pastorali che gli consentono di intervenire tempestivamente ed efficacemente per proteggere o liberare il Popolo di Dio dalle insidie dei cattivi teologi o per guarirlo dall’epidemia dell’errore e della menzogna in fatto di fede.
 Certamente, se il pastore per primo, come dice il Card. Martini, sente nella sua coscienza le obiezioni dell’incredulo e convive con esse, sarà difficile cha abbia quella fede convinta, chiara e salda che gli consenta di svolgere quest’opera di soccorso e di misericordia a favore dei fedeli smarriti, confusi o ingannati, o abbia anche il coraggio di avvertire e correggere i ribelli. Se poi il dubbio, come dice il Card. Ravasi, entra nel costitutivo stesso dell’atto di fede, siamo daccapo e il pastore non sarà certo all’altezza del suo compito di far chiarezza e dar certezza. Come ho già detto in un mio recente articolo su quest’argomento, il dubbio di fede non è una “cane da guardia”, ma un cane sdentato.
A un occhio superficiale non si direbbe che oggi la Chiesa vada poi tanto male. Infatti è sparsa in tutto il mondo; come faceva notare L’Osservatore Romano di recente, ha rappresentanze pontificie in 180 Stati a confronto della ventina che aveva all’inizio del ’900, la S. Sede gode di notevole prestigio morale presso gli organismi rappresentativi politici a livello della comunità mondiale, la Chiesa ha 50 anni fa celebrato un Concilio grandioso, con un numero di Padri mai successo nella storia, possiede un numero Cardinali mai raggiunto, dispone di mass-media che le consentono di comunicare in tutto il mondo, fervono intensi l’attività ecumenica, di dialogo con i non-cristiani e con i non-credenti, dispone di molte istituzioni accademiche nel mondo, mantiene le sue strutture organizzative diocesane, parrocchiali, caritative e missionarie, amministra un notevole patrimonio finanziario (lo IOR), ed insomma non abbiamo particolari o eclatanti conflitti intraecclesiali così gravi come quelli che abbiamo avuto nei secoli passati – si pensi per esempio alla crisi donatista o ariana dei primi secoli o alle guerre di religione dei secoli XVI-XVII.
Fatti di per sé gravissimi, che dovrebbero costituire un campanello d’allarme che in realtà le cose non vanno bene, come per esempio le dimissioni di Papa Ratzinger, il tradimento di Paolo Gabriele, con tutto quello che nasconde e che non è venuto ancora alla luce, l’ambizione e il carrierismo negli uffici ecclesiastici, la corruzione sessuale del clero, il calo spaventoso delle vocazioni, l’insidia della massoneria, l’assenza di conversioni al cattolicesimo, cristiani crudelmente perseguitati dall’Islam e dal comunismo, l’impressionante diffusione delle eresie anche tra prelati, la diffusa sfacciata indisciplina e disobbedienza in fatto di etica cristiana - si pensi per esempio all’etica sessuale - o nella prassi liturgica, la nullità di contenuti che spesso si nasconde sotto l’etichetta di “cattolico”, vengono ignorati o minimizzati o interpretati in un senso ingannevolmente rassicurante quando non interpretati in senso decisamente positivo.
L’unica cosa sulla quale si è insistito, ma con sospetta curiosità morbosa e con evidente intenzione di screditare il sacerdozio e la Chiesa è stato il fenomeno della pedofilia, come se poi anche questo non fosse la conseguenza di una crisi di fede e di identità negli stessi preti sedotti dalle numerose eresie in circolazione, delle quali invece non si parla per niente
 Ma perché questo falso ottimismo? Perché sono al potere coloro stessi che sono la causa dei mali della Chiesa: i modernisti. E allora è logico che per chi comanda tutto vada bene[2]: le cose devono restare come sono, altrimenti come potrebbero conservare il potere e far la figura di essere i benefattori e i riformatori della Chiesa? Come potrebbero avanzar diritti a continuare a occupare i posti che con tanta tenacia, tante vie traverse e tanti artifici sono riusciti a conquistarsi?
 I seccatori, i “profeti di sventura”, i rompiscatole, i dissidenti, gli attaccabrighe, i lamentoni saranno senza’altro gli antimodernisti, contrari al “progresso” e al “Concilio”, fermi in un passato che ormai è passato o desiderosi di tornare a quel vecchiume che ormai la storia ha spazzato via.
Anche i modernisti sostengono che nella Chiesa ci sono mali e ingiustizie da togliere: anche loro parlano di una “riforma della Curia Romana”, sostengono che il Papa ha tuttora troppo potere, occorre più Vangelo e meno dogma, dare più spazio ai laici e alle donne, abolire lo sfarzo e sanare la cattiva amministrazione del Vaticano, abolire la liturgia “sacrale” e incrementarla come festa popolare, liberare la Chiesa dalle connivenze con la destra, aumentare e rafforzare la collegialità episcopale, maggiore liberalità nell’etica sessuale, maggiore libertà di pensiero ai teologi, oppressi dall’Inquisizione romana, in particolare si riferiscono a Ratzinger quand’era prefetto della CDF.
Non dico che in ciò sia tutto sbagliato. Operando un saggio discernimento, si potrebbe trovare qualche punto buono. Ma è evidente che si tratta di un’impostazione che nella sostanza aggraverebbe i mali anziché diminuirli o toglierli. Il fatto è che i modernisti partono da un concetto sbagliato di Chiesa, influenzato o dal fideismo soggettivista protestante o dal naturalismo e razionalismo massonici e per questo, benchè anch’essi parlino di riforma e di soppressione dei mali e degli scandali, in pratica il contenuto dei loro giudizi, delle loro critiche e delle loro proposte non coincide affatto anzi è il contrario di quanto pensano i veri cattolici, fedeli al Papa e al Magistero, i quali certo da cinquant’anni lamentano una grave crisi nella Chiesa, ma non certo in base ai criteri usati dai modernisti, anzi gli stessi modernisti, benchè non sempre vengano chiamati con questo nome ma con altri (“secolaristi”, “relativisti”, “progressisti”, “innovatori”, “contestatori”, “soggettivisti”, “magistero parallelo”, ecc) son considerati dai buoni cattolici e dallo stesso Magistero come i maggiori responsabili dei mali e delle sofferenze della Chiesa, dei suoi contrasti interni, della sua “autodemolizione”, dell’ecumenismo inconcludente e fuorviante, della paralisi delle missioni e della stessa diminuzione dei cattolici, i quali passano ad altre idee o religioni anche se conservano il nome di cattolici.
I modernisti non si esprimeranno come fece Paolo VI che parlava del “fumo di Satana” entrato nella Chiesa, dato che loro al diavolo non credono; forse accetterebbero invece l’altrettanto famosa frase dell’allora Card. Ratzinger: la “sporcizia nella Chiesa”. Ma il punto è sempre quello che i modernisti non intendono la “sporcizia” come la intendono i veri cattolici, i quali non partono da un concetto e da un modello di Chiesa influenzato o dalla massoneria o dal protestantesimo, ma da quel modello che ci viene offerto da Gesù Cristo nell’interpretazione della Chiesa Cattolica, ossia una Chiesa che certo ha interessi umani ma soprattutto divini e soprannaturali, regolata quindi da una verità rivelata e divina, verità di fede, interpretata dalla Chiesa e regolata da una conseguente morale che non si esaurisce nella filantropia o nella semplice etica naturale dei diritti umani (con tutto il rispetto dovuto a questi valori), ma si eleva a finalità ben superiori: la remissione dei peccati, la vita di grazia dei figli di Dio, la vita eterna, la comunione dei santi, la pratica dei sacramenti e della preghiera, l’imitazione di Cristo, la vita secondo lo Spirito nella comunione  con i pastori istituiti da Cristo sotto la guida del Successore di Pietro.
Occorre rendersi conto sia della qualità della “sporcizia” da togliere, sia della sua quantità. È chiaro che la Chiesa quaggiù per permissione di Dio anche nei santi conserva una certa dose di sporcizia, un po’ come il nostro organismo fisiologicamente produce materiali che periodicamente vengono espulsi. È evidente che in ogni città esiste un servizio di nettezza urbana. Ma un conto è la situazione di una città della Svizzera e un conto è la situazione di Napoli. Esistono situazioni limite talmente gravi che diventano veramente intollerabili, che devono e possono assolutamente essere sanate.
 È questa certamente la “sporcizia” alla quale alludeva Ratzinger nella famosa Via Crucis del 2005. È chiaro che una Chiesa assolutamente pura non è di questa terra, ma è solo la Chiesa celeste. Anche i santi, dice la morale cattolica, commettono spesso e inevitabilmente almeno peccati veniali e tutti, per quanto virtuosi, abbiamo difetti permanenti, conseguenza del peccato originale, che ci portiamo dietro tutta la vita, raggiungessimo anche i gradi più levati della sanità. E quindi c’è un continuo accumulo di “sporcizia” che va periodicamente eliminato.
 Il peccatore quindi non è semplicemente e solo colui che si ritrova con questa sporcizia, ma chi non si cura di tenersi pulito e non la elimina. E il santo non è la persona impeccabile e perennemente pulita, ma colui che - per quanto è in lui - evita di sporcarsi e si pulisce quando è sporco. La differenza quaggiù non è tanto tra “giusti” ed “empi” - che riguarda soprattutto l’al di là -, ma tra peccatori impenitenti e peccatori pentiti.
I modernisti viceversa sono dei perfezionisti, sono degli eterni utopisti illusi, sono figli di Rousseau che non credeva al peccato originale o peggio ancora sono eredi di Mazzini o di Cavour o di Lincoln o di Washington convinti massonicamente che l’uomo possa raggiungere il massimo progresso con le sole forze della ragione e della volontà, senza bisogno della grazia. Oppure essi sono talmente soprannaturalisti, che, eredi dell’idealismo tedesco o del panteismo indiano, come i rahneriani, credono che l’uomo, essendo implicitamente Dio, non ha che da esplicitare questa sua essenza divina e il gioco è fatto.
È molto importante, per valutare i veri mali della Chiesa e riconoscere i suoi pregi, partire da un giusto modello di Chiesa. Esso ci viene offerto in modo importante ed autorevole dai documenti del Concilio come anche dai grandi insegnamenti del Beato Pio IX o di Pio XII. Grandi ecclesiologi che io consiglio sono  anche i Cardinali Charles Journet e Yves Congar, oltre ai classici del ’900, come il Beni-Cipriani o il Van Noort. E naturalmente non bisogna dimenticare il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Lo stesso Maritain ha un ottimo libro in L’Eglise, sa personne et son personnel. Consigliabile è anche il famoso “Rapporto sulla fede”[3] del Card. Ratzinger, dove è contenuta un’analisi lucidissima e coraggiosa, che riprende quelle di Paolo VI ed è tuttora valida. Qui abbiamo i criteri giusti per giudicare e valutare.
La Chiesa è santa e se è presente la sporcizia, questa non la intacca nella sua essenza, nei suoi fondamenti, nella sua dottrina, nella sua morale, nei suoi mezzi di salvezza, nei suoi fini escatologici. La Chiesa non va corretta dal di fuori o dal di sopra con presuntuoso atteggiamento gnostico di chi pretende di possedere una superiore scienza divina, ma essa ha da sè per la presenza del suo Signore, tutti i mezzi necessari e sufficienti per purificarsi e progredire.
Certo solo la Chiesa del cielo è totalmente santa; quella terrena, sofferente e in lotta contro il Drago, contiene visibilmente solo pochi santi, ed è ancora in cammino nei pericoli di questa vita. Sta però a noi saper riconoscere questi santi e associarci a essi, fossero anche in piccolo numero, emarginati e disprezzati dai potenti di questo mondo, non importa. A questi buoni discepoli s’indirizzano le parole del Signore: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre è piaciuto donarvi il suo Regno”.

Libri da leggere sul tema:
Giovanni Cavalcoli, Karl Rahner


Note



[1] L’enciclica del Beato Giovanni Paolo II Veritatis Splendor contiene bensì la condanna della distinzione tra “categoriale” e “trascendentale” che si trova in Rahner ma non solo in lui, e neppure si nomina esplicitamente l’autore. È giunto il momento, così ci sembra, di una critica più ampia e radicale facendo espressamente il nome dell’autore. Solo così i fedeli riceveranno una chiara indicazione e i rahneriani non troveranno scappatoie.
[2] Famoso è il detto che circolava forse con una certa ironia, poco prima ch scoppiasse la Rivoluzione Francese: “Tout va très-bien, Madame la Marquise!”. Poi si è visto che cosa è successo.
[3] Edizioni Paoline 1983

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