di Giovanni Cavalcoli
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Com’è noto, il Concilio
Vaticano II ha avuto un taglio ecumenico che testimonia dello sforzo della
Chiesa di accogliere per quanto possibile le istanze dei fratelli separati, per
esempio dei protestanti. Ciò appare tra l’altro in campo ecclesiologico con la
ormai famosa dottrina del sacerdozio comune dei fedeli, fondato sul Battesimo,
la quale ispira l’ecclesiologia del “Popolo di Dio” che pone in evidenza il
ruolo dei laici e la chiamata universale alla santità. Appare anche nella nuova
visione della liturgia eucaristica, in cui emerge più di un tempo la parte del
comune fedele, comprese le donne, all’offerta del divin sacrificio, atto
certamente del celebrante, ma nel contempo dell’intero popolo sacerdotale della
Nuova Alleanza.
Come però per altri grandi temi
e orientamenti del Concilio, anche a questo riguardo ci sono stati da qualche
decennio alcuni gravi fraintendimenti, per i quali questo avvicinamento alla
visione protestante ha finito per lasciar penetrare gli errori protestanti
nella stessa concezione cattolica. Voglio qui fermarmi brevemente a uno di
questi fraintendimenti, piuttosto grave, quello che si verifica nella teologia
di Edward Schillebeeckx, che esagera talmente l’importanza del Battesimo nei
confronti del Sacramento dell’Ordine, che finisce per dare al Battesimo un
potere che riduce quello dell’Ordine niente più che ad uno sviluppo autonomo
del Battesimo, senza che questi riceva alcunchè da parte del Sacramento
dell’Ordine.
Più precisamente Schillebeeckx,
in base a questi falsi presupposti, prospetta
quella sua teoria, orami nota da anni e successivamente condannata dalla
Congregazione per la Dottrina della fede negli anni ’80, secondo la quale “in
caso di necessità” la comunità cristiana, in forza del suo “diritto
all’eucaristia”, avrebbe la facoltà per non dire il dovere di eleggere tra i
suoi membri un “ministro” col potere di consacrare l’eucaristia, in altre
parole di dir Messa, in forza del suddetto supposto potere sacerdotale
virtualmente contenuto nella grazia del Battesimo.
Questa visione dello
Schillebeeckx a sua volta suppone una sua concezione del sacramento dell’Ordine
per la quale non si dovrebbe più parlare di “Sacerdozio”, termine secondo lui
legato ad un’idea superata della sinassi eucaristica per la quale il celebrante
offrirebbe un sacrificio “espiatorio”, secondo un modello primitivo e non più
attuale del culto divino.
Così pure per Schillebeeckx il
concetto di una Sacerdozio gerarchizzato con al vertice il vescovo, non sarebbe
di istituzione divina, ma sarebbe il frutto, tuttora irragionevolmente
persistente, di un adattamento del “ministero ecclesiale – così e solo così
dev’essere chiamato il sacerdozio – alla struttura piramidale dell’organizzazione
politica dell’Impero Romano (vedi l’episodio evangelico del centurione).
Su questa linea di abolizione o
relativizzazione della gerarchia ecclesiastica e di appiattimento dei ministeri
ecclesiali, col pretesto dell’uguaglianza dei fratelli sotto un unico Maestro,
lo Schillebeeckx chiama poi il celebrante non col titolo di “sacerdote”, ma
semplicemente di “presidente dell’assemblea”, sul modello della struttura
democratica ed elettiva delle assemblee popolari della vita politica.
Questo modello, come è noto, è
stato assunto dalla teologia della liberazione, per la quale la Messa, non più
chiamata “Messa” e non più intesa come sacrificio, ma alla maniera protestante
come “assemblea o sinassi eucaristica”, non comporta nessuna
“transustanziazione” operata al celebrante con le parole della consacrazione,
del resto modificabili a piacimento del “presidente”, a seconda delle circostanze,
ma semplicemente una “transignificazione”[1] del pane del vino[2], in linea con la
concezione generale scillebexiana della liturgia, passata nella teologia della
liberazione, per la quale la liturgia non è un’azione che viene dall’alto, e
conduce verso l’alto, il sacro che si libra sul profano e lo consacra, non è fons et culmen totius vitae christianae,
ma semplice simbolo e figura, nell’attualità storico-sociale della cultura e della
vita moderna, del processo evangelico di liberazione del popolo di Dio dall’oppressione
delle classi dominanti della società e della Chiesa, con particolare riferimento
al potere romano.
Questa visione distorta dello
Schillebeeckx suppone, tra l’altro, la dimenticanza di due cose essenziali:
prima, il rapporto fondamentale fra Battesimo e Sacerdozio rispetto all’origine stessa dei due Sacramenti;
seconda, il modo col quale la grazia viene conferita nel sacramento in
generale.
Innanzitutto, prima cosa da
ricordare è che il primo Sacramento
istituito da Cristo è il Sacramento dell’Ordine nella sua pienezza, ossia l’Episcopato, con l’istituzione dei Dodici
e i poteri ad essi conferiti, soprattutto l’annuncio del Vangelo, battezzare,
consacrare il pane e il vino, rimettere i
peccati e governare il popolo fedele.
Quindi è vero che il Battesimo
contiene virtualmente ed implicitamente tutti gli altri Sacramenti come sua
condizione, radice e germe originario; tuttavia questa meravigliosa e divina
virtualità del Battesimo si trova nel battezzato in uno stato meramente
potenziale. Ora, come sappiamo, ciò che è in potenza non può portare se stesso
all’atto se non in forza di un agente che è già in atto. Per questo non ha
senso l’idea di Schillebeeckx che dei semplici battezzati o al massimo
cresimati abbiano in se stessi, per la semplice forza del battesimo, la
possibilità o la facoltà di stabilire, sia pure
ad actum, un ministro del Sacramento dell’Eucaristia.
Cristo ha dato innanzitutto ai Vescovi, nella persona
degli Apostoli, il compito sia di battezzare che di consacrare l’Eucaristia. Se
poi successivamente nella prassi della Chiesa è sorta la possibilità che anche
un laico battezzi o un presbitero amministri il Sacramento della Cresima, ciò
deriva dal fatto che i Vescovi hanno reso partecipi del loro Sacerdozio altri
ministri, come i diaconi e i presbiteri.
La stessa predicazione
ufficiale e pubblica del Vangelo fino al sec. XIII fu riservata ai Vescovi. Fu il Concilio
Lateranense IV del 1215 che prescrisse ai Vescovi di scegliersi collaboratori
nell’annuncio del Vangelo e fu così che S. Domenico di Guzmàn ebbe l’idea di
fondare un Ordine di Predicatori, appunto ufficialmente dediti
all’evangelizzazione, quello che poi è stato chiamato Ordine Domenicano.
In tal modo la prima cosa che
hanno fatto gli Apostoli è stata quella di evangelizzare e battezzare, così da
fondare la comunità cristiana, la Chiesa locale. Dopodiché hanno cominciato a
scegliersi tra questi fedeli battezzati e cresimati i loro collaboratori nel
ministero in gradi diversi a seconda delle necessità e delle capacità di
ciascuno.
Non ha nessun senso pensare
come Schillebeeckx che il semplice battezzato o cresimato abbia in sé l’energia
soprannaturale sufficiente per elevare se stesso, sia pure per designazione di
altri, alla dignità di presbitero così da avere il potere di consacrare l’Eucaristia.
Né la comunità, allo stesso modo,
se composta di semplici fedeli, ha alcun potere di conferire una grazia ministeriale
che essa non possiede. Nessuno può dare
quello che non ha. È un principio evidente che l’effetto non può essere
superiore alla causa. Il battezzato ha in sé la grazia del presbiterato solo potenzialmente, non attualmente. Solo il
Vescovo possiede virtualmente nella pienezza
del suo Sacerdozio anche il Presbiterato: quindi solo lui[3] può far passare
all’atto quella potenzialità di Presbiterato che si trova in potenza nel semplice cresimato.
Affinchè dunque questa
potenzialità possa attuarsi, ossia, affinchè possa aversi l’effetto del Presbiterato,
occorre un Sacerdote che abbia in maggior
misura ciò che il Presbitero possiede, tale da causare l’esistenza del Presbiterato
in un’altra persona ben disposta. Occorre cioè un Sacerdote che abbia in pienezza il Sacerdozio, e questi non è
altro che il Vescovo.
In secondo luogo, dobbiamo
ricordare che ogni Sacramento viene dato o amministrato o conferito o
confezionato (conficere sacramentum)
mediante ben precise parole e segni fisici,
istituiti o da Cristo stesso o dalla Chiesa in suo nome, senza i quali il
Sacramento col suo conseguente potere, non
esiste o, come si dice, è invalido, nullo.
Ora il Sacramento del
Presbiterato viene conferito dal Vescovo con un apposito rito senza il quale non c’è nessuna ordinazione. Per
questo il credere che una semplice scelta o decisione della comunità dei fedeli
sia sufficiente a dare a un semplice battezzato o cresimato il potere di
consacrare l’Eucaristia, vuol dire scambiare un’azione sacra quale può essere la
costituzione di un presbitero con una qualunque azione profana o secolare con
la quale un’assemblea di docenti elegge il preside dell’istituto scolastico o
un partito politico sceglie il suo rappresentante in Parlamento. Questo vuol
dire ignorare totalmente il carattere sacro,
soprannaturale, di fede del Sacramento
del Sacerdozio ed è una vera e propria eresia.
Anche qui siamo davanti ad uno
degli aspetti più gravi dell’attuali crisi non
della ma nella Chiesa, un fatto
denunciato ormai da molti anni: la perdita
di coscienza da parte di fedeli, dei teologi e dei Sacerdoti stessi della
dignità del Sacerdozio.
A
questo punto non c’è troppo da meravigliarsi di fenomeni impressionanti come
quello della pedofilia o altre forme di corruzione morale e dottrinale nei Sacerdoti.
Il rimedio decisivo non è processare i colpevoli e neppure consolare le povere
vittime innocenti. Questo sarà anche bene,
ma il rimedio decisivo sarà ridare al popolo di Dio la vera conoscenza della
dignità del sacerdote.
Note
[1] Paolo VI nell’enciclica Mysterium Fidei del 1975 non disapprovò
l’idea della “transignificazione”, purchè – precisò – non venga contrapposta a
quella tradizionale della transustanziazione, che è dogma di fede. Purtroppo
invece Schillebeeckx pretende di sostituire questo dogma con la sua dottrina
della transignificazione, la quale peraltro suppone una gnoseologia fenomenista
antropocentrica incompatibile col realismo cristiano.
[2] Per Schillebeeckx, il gesto di Gesù di
offrire il calice all’ultima Cena non è l’offerta del proprio sangue, ma semplicemente
l’offerta di un “bicchiere di vino” fatta dal Martire prima di dare la propria
vita per la causa della giustizia e della pace.
[3] Alcuni sacramentalisti ipotizzano la
possibilità che il Vescovo deleghi anche un Presbitero per ordinare un altro Presbitero.
In ogni caso, anche qui non è violato il principio di causalità, in quanto il
Presbitero ordinante verrebbe ad essere partecipe
dello stesso potere ordinante del Vescovo.
Per approfondire:
Giovanni Cavalcoli, Progresso nella continuità
Giovanni Cavalcoli, Parole chiare sulla vita della Chiesa
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