di Giovanni Cavalcoli
È in atto all’interno del mondo cattolico una forte e vasta polemica circa il giudizio da dare alle prese di posizione o pronunciamenti del Papa in materia dottrinale, con particolare riferimento alle persistenti questioni del rapporto del Concilio Vaticano II con la cultura moderna, col problema del modernismo, con quello del dialogo ecumenico, interreligioso e con i non credenti, nonché con quello della libertà religiosa e dell’autonomia della coscienza.
È in atto all’interno del mondo cattolico una forte e vasta polemica circa il giudizio da dare alle prese di posizione o pronunciamenti del Papa in materia dottrinale, con particolare riferimento alle persistenti questioni del rapporto del Concilio Vaticano II con la cultura moderna, col problema del modernismo, con quello del dialogo ecumenico, interreligioso e con i non credenti, nonché con quello della libertà religiosa e dell’autonomia della coscienza.
A questi temi di fondo, relativi alle basi della dottrina
cattolica, si aggiungono quelli che, senza toccare il dogma, riguardano però la
non meno importante questione della prassi morale e liturgica, la soluzione di
difficili e drammatici casi di morale, come per esempio l’esibizionismo, il
protagonismo e l’ambizione dei teologi e dei prelati e dei politici, la riforma
della Curia Romana, l’aborto, la crisi della famiglia, il maltrattamento degli
immigrati, l’amministrazione disonesta
delle ricchezze e della cosa pubblica,
l’indifferenza verso i poveri, il rischio della guerra, il problema del metodo della nuova evangelizzazione,
i doveri degli apostoli e degli annunciatori del Vangelo.
Questo Papa, si potrebbe dire, in pochi mesi di governo,
“ha sollevato le acque” creando speranze e soddisfazione o addirittura
entusiasmo in molti ambienti soprattutto giovanili del mondo cattolico e non
cattolico. Alcuni hanno parlato di “rivoluzione”. Ma i cattolici
tradizionalisti sono turbati. Di fatto assistiamo a un enorme fermento,
subbuglio ed agitazione, ma anche aspri conflitti in certi ambienti cattolici,
mentre alcuni degli ambienti estranei alla Chiesa, tradizionalmente nemici, osservano
con interesse e a volte con ammirazione l’operato e le idee del Papa, come di persona
capace di rendersi accetta al mondo moderno, come a dire, per ripetere le parole
di Scalfari: oh, finalmente un Papa che
è con noi!
Ma che significa? Come interpretare questa contentezza? È
il Papa che apprezza i valori laici o sono gli errori laici che hanno sedotto
il Papa? Sono i laici che s’illudono che il Papa venga dalla loro o è il Papa
che abilmente sta avvicinando i laici alla Chiesa, forse senza che essi stessi
se ne accorgano, col riconoscere i lati positivi del laicismo?
Questa
è la cosa da chiarire, ma per me non ci sono dubbi che è il Papa, nonostante
certe apparenze contrarie, a tenere in mano la situazione con un metodo abilissimo,
apparentemente spregiudicato, ma che in realtà porterà i suoi frutti, da vero Gesuita.
È molto grave accusarlo come fanno alcuni, di eresia o di modernismo.
Come i laicisti interpretano il Papa? Riconoscono in lui
il cattolico o lo vedono come uno che indulge al loro spirito relativista,
soggettivista, anticattolico o addirittura ateo? Un Papa con la veste ma non
col cuore? Per lo meno non un Papa tradizionale? Per la verità l’agitazione
nella Chiesa già esisteva da tempo: Papa Bergoglio sembrerebbe venuto per aumentarla.
Ma a che scopo? Non dobbiamo dubitare che sia a fin di
bene, anche se non è facile capire. Tentiamo qui di farlo. Papa Francesco è
chiaramente venuto a “portare un fuoco sulla terra”: fuoco della discordia o
fuoco dell’amore? Un cattolico può aver dubbi? Può lasciarsi prendere dalla
sfiducia o dall’amarezza o provare sdegno o scandalo? Può farsi giudice? Entro quali limiti è consentito giudicare un
Papa? Ecco il tema di questo articolo.
Nessuno oggi è indifferente al Papa, ma si passa dai più
grandi entusiasmi dell’ingenuità, dell’interesse o del fanatismo, che sono propri
di una grande maggioranza, spesso manovrata dai modernisti e dai media laicisti,
alle più accese ostilità di gruppi zelanti di conservatori, che però si stanno
allargando, con accuse roventissime che sconfinano nel sacrilegio e nell’empietà,
considerando che si tratta della persona del Vicario di Cristo, il “dolce
Cristo in terra”[1].
Sia gli uni che gli altri non sono privi di buone
ragioni, ma i modernisti credono che il Papa sia uno di loro e comunque lo trascinano dalla loro parte - impresa disperata perché un
Papa non può essere eretico -, mentre i conservatori non riescono a vedere nelle
sue idee, al di là di certe espressioni poco chiare, la continuità col Magistero tradizionale.
Ci si domanda: è Cristo medico che avvicina i peccatori
per guarirli e salvarli o è un pastore opportunista troppo preoccupato del
successo mondano, che, pur di rendersi gradito, accondiscende in modo quanto meno
ambiguo alle idee ed ai costumi del mondo sotto pretesto del Concilio?
È un Papa sanamente moderno secondo le indicazioni autentiche
del Vaticano II o è un Papa modernista, che interpreta il Concilio in senso modernistico
e come rottura con la Tradizione? È un rahneriano o è ortodosso? Domande molto
serie, ma alle quali è possibile e doveroso dare una risposta sicura e confortante,
benchè dopo alcune attente considerazioni di fatto e di metodo, che adesso vorrei
esporre, certo di rendere un sevizio soprattutto ai cattolici su di un problema
che oggi ci sta mettendo tutti alla prova, almeno le persone responsabili che
non sono canne sbattute dal vento o farisei col fucile puntato. Dedico queste
mie modeste parole al Santo Padre.
Il punto di partenza, ovvio per qualunque cattolico
normale, sufficientemente istruito e sano di mente, è che nei confronti del
Papa, regola e guida suprema e infallibile della Chiesa terrena nella verità e
nella santità della vita cattolica, ma anche uomo fragile, peccatore ed umanamente
fallibile soprattutto nella condotta e nelle opinioni personali, nel governo e nella
pastorale, occorre evitare innanzitutto due errori: da una parte, benchè egli
sia Vicario di Cristo, non bisogna confonderlo con Cristo stesso, e cioè non si
deve prendere ogni parola che esce dalla sua bocca come un oracolo divino,
quasi fosse un dogma di fede definita, e come se le sue parole quali che siano,
impegnassero 24 ore su 24 il suo ufficio petrino, ma occorre di volta in volta
saper discernere e distinguere con attenzione le modalità, i contenuti, il suo sotteso
stato d’animo, il genere letterario, le circostanze e le finalità del suo parlare.
Diamo un po’ di respiro a questo pover’uomo (“povero
Cristo”, come ebbe a dire un giorno Giovanni Paolo I), è permettiamogli di sbagliare
senza danni per la fede, lasciamolo celiare, ironizzare, scherzare o raccontare
barzellette o parabole, lasciamolo parlare a braccio, lasciamolo cambiare idea,
ordine o provvedimento, e permettiamogli di cambiare dove ha facoltà di cambiare
quello che ha fatto il Papa precedente, senza stargli sempre addosso con gli
occhi puntati, come facevano i farisei con Gesù, per “ coglierlo in fallo nelle
sue stesse parole”, cosa che non riuscirono mai a fare. Sappiamo come sono finiti
i farisei e come Gesù li ha trattati.
Dall’altra parte si deve evitare la presunzione gnostica
di conoscere Dio o Cristo meglio del Papa, fingendo di essere in comunione con
lui, ma in realtà trattandolo con la sufficienza e la spocchia di chi si atteggia
a maestro nei confronti dello scolaretto dalla mente ritardata o di un avanzo
del medioevo.
Un Papa può essere conservatore o tradizionalista, così
come può essere progressista, ma in fin dei conti sta lui in ultima istanza indicare
alla Chiesa il suo confronto con la modernità e il suo cammino verso il regno
di Dio e la salvezza. A nessun vero cattolico quindi, per quanto dotato di cultura
o di spirito profetico, è lecito considerarsi tanto progressista o “avanzato”, da
saper meglio del Papa qual è la direzione della Chiesa nella storia della
salvezza.
E così pure a nessun cattolico, per quanto fedele alla Sacra
Tradizione, è consentito accusare il Papa d’infedeltà alla medesima Tradizione
facendo diretto appello a essa. Infatti è precisamente il Papa, eventualmente
nel Concilio, che è l’interprete qualificato ed infallibile della Tradizione
espressa o sviluppata dal medesimo Concilio.
Occorre però distinguere la Sacra Tradizione, immutabile e
intangibile, da particolari contingenti tradizioni umane, anche se durature, legate
alla pastorale e non alla dottrina, per esempio tradizioni liturgiche e, circa le
quali il Papa può mutare e anche sbagliare.
Per quanto riguarda la liturgia in particolare vi è in
essa un elemento divino e immutabile che è dato dall’essenza dei sacramenti – per esempio le parole della consacrazione
nella Messa – e altri elementi mutevoli ch servono a calare il rito nella diversità
delle situazioni. È chiaro che circa il primo punto il Papa non può mutare e
non muta, mentre può farlo nel secondo, col rischio di sbagliare.
Come sarebbe idolatria sacralizzare la balaustra per la
S. Comunione o la posizione dell’altare alla pari del canone della Messa, così
sarebbe abominevole profanazione mutare il canone della Messa con la scusa
della modernità e dell’inculturazione. Stiamo tranquilli che il Papa non fa e
non farà mai simili sciocchezze.
Là dove si può criticare il Papa è di non saper custodire
e garantire con sufficiente fermezza e severità in tanti casi la dignità delle
celebrazioni liturgiche. Questo intervento di per sé spetterebbe ai vescovi, ma
se questi dormono o sono conniventi, dovrebbe intervenire la S. Sede.
I suddetti due errori opposti alla fine si riducono a uno
solo: sia l’insincero appoggio modernista che interpreta il Papa ad usum delphini, ossia in senso modernista,
che l’acida polemica dei lefebvriani o dei sedevacantisti che lo accusano di
modernismo e di eresia, si riducono alla stessa presunzione tipica degli eretici
di sostituirsi al Papa e di svuotare di senso il carisma petrino, come fece già
Lutero, il quale, con la scusa che ogni cristiano possiede lo Spirito Santo,
affermava che “ogni cristiano è Papa”, cioè infallibile nell’interpretazione
della Sacra Scrittura.
È ovvio che il Papa, da parte sua, deve sempre ricordarsi
di essere il Papa e quindi fare ogni sforzo per essere fedele a Cristo, essere buon
pastore del suo gregge ed essere prudente nel parlare e santo nell’agire.
Ma soprattutto è fondamentale per noi distinguere bene i
campi del pensiero dove il Papa va assolutamente ascoltato, e questo è il campo
della dottrina della fede, e dove invece - e questo è il campo del governo o
della pastorale - egli può essere legittimamente criticato o disapprovato ed
anche al limite disobbedito, se il suo ordine è invalido, oppure anche deposto,
se la sua condotta è riprovevole, com’è già avvenuto nella storia.
S. Tommaso arriva a dire che se il Papa lancia una scomunica
ingiusta, essa è invalida e quindi nulla e non se ne deve tener conto, e questo
perché la scomunica si pone sul piano pastorale-disciplinare. Invece è comune
parere dei teologi che quando egli approva un Concilio Ecumenico o qualche
nuovo istituto religioso o condanna un’eresia o proclama santo qualcuno o
approva qualche nuovo istituto religioso è infallibile, perché in questi casi è
implicata, sotto vari titoli, la dottrina della fede dove gioca il carisma
dell’infallibilità.
Ma
non è mai accaduto che un Papa sia stato deposto perché caduto nell’eresia,
benchè molti nella Chiesa, ma per lo più eretici, lo abbiano chiesto. Si
potrebbe esaminare solo il caso in cui il Papa divenisse affetto da una
malattia mentale. Tuttavia anche questa evenienza non si è mai verificata.
Pietro ha ricevuto da Cristo il dono dell’infallibilità
nell’insegnamento della verità di fede, dunque un carisma dottrinale, non di governo della Chiesa e di azione pastorale,
e ancor meno nella condotta morale. Questo è il punto fondamentale da tener
sempre fisso come stella polare ogni volta che si pone la questione di valutare
l’autorevolezza o la fallibilità o meno di un intervento, di una dichiarazione,
di un pronunciamento, di un discorso, di un’omelia o di un insegnamento del Papa,
dall’enciclica sino all’incontro tra amici, ai colloqui col personale domestico
o con i collaboratori della Segreteria di Stato, alle udienze, alle telefonate
o alle battute con giornalisti sull’aereo che lo porta chissà dove.
In campo dottrinale il Papa può esprimersi pubblicamente o
come Papa, cioè come maestro nella fede,
o come dottore privato, esprimendo anche pubblicamente o per iscritto[2]
semplici opinioni o vedute, esperienze o ipotesi personali, anche
relative alla fede o alla morale, ma soggettive e discutibili, forse anche erronee.
Nulla da eccepire, nessuno scandalo, ma cosa legittima e normale. Qui pertanto si
può esercitare una critica rispettosa, motivata ma anche ferrata e decisa. Lo
stesso Benedetto XVI in uno dei suoi libri su Cristo invita gli studiosi, se
credono, a controbattere. Evidentemente non è qui in gioco la dottrina della
fede!
Tuttavia criterio importante per discernere quando il Papa
parla veramente da maestro o testimone della
fede non sono tanto le circostanze, che possono essere modeste e occasionali,
com’è nello stile degli ultimi Papi, ma è il contenuto di ciò che dice. Se si tratta di un contenuto di fede definita o non definita, implicita
o esplicita, non si può pensare che il Papa sbagli e quindi non è lecita la
critica.
Per esempio il Papa con Scalfari ha toccato temi delicati
della fede, anche se con un linguaggio non sempre univoco e bisognoso
d’interpretazione e di precisazioni, per cui non è lecito come hanno fatto alcuni
trarre pretesto per esempio dal fatto che si è trattato di un colloquio con un
ateo per contestare la verità delle tesi del Papa.
Quanto
al chiedersi se il Papa non avrebbe fatto meglio a evitare il contatto con
Scalfari o a confutarlo con più decisione, queste sono questioni lecite di carattere
prudenziale o di opportunità che possono essere discusse e su questo piano non
è proibito esprimere l’opinione che il Papa abbia sbagliato. Assurda invece è
l’accusa che il Papa abbia approvato gli errori di Scalfari o si sia lasciato
ingannare.
In conclusione, si potrebbe dire che non è da escludersi
del tutto l’eventualità che un Papa come dottore privato, cada nell’eresia.
Questa ipotesi fu già formulata nel sec. XVI dal grande teologo domenicano
Card. Gaetano. Sta di fatto comunque che il diritto canonico non prevede questa
conturbante eventualità, il che conferma che non si è mai verificata,
considerando che se il diritto non può regolare ciò che non si è ancora
verificato, certamente però legifera su fatti già avvenuti.
In tal modo la storia degli insegnamenti pontifici
conferma la verità della promessa di Cristo a Pietro di assistere i suoi successori
nella custodia della verità di fede sino alla fine dei secoli.
NOTE
[1] Da notare che S. Caterina dava questo
appellativo a un Papa fazioso ed irascibile quanti altri mai. Occorre andare al
di là dell’individuo empirico e vedere il Ministro di Dio.
[2] Per esempio i libri di pensieri o
ricordi personali anche con relazione alla fede, ma come semplice teologo,
studioso o dottore privato, che sono ormai in uso a partire dal Beato Giovanni Paolo
II.
Nessun commento:
Posta un commento