di Antonio Livi
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Ci troviamo in un momento di ritorno allo studio della figura del cardinale Giuseppe Siri, attraverso le testimonianze storiche e la lettura delle sue opere inedite o la rilettura delle più significative. Fra esse vi è un prezioso volume di omelie finora inedite che le edizioni Fede & cultura di Verona, promosse dal giovane filosofo Giovanni Zenone, hanno mandato recentemente in libreria (Giuseppe Siri, Omelie per l’anno liturgico, a cura di Antonio Filipazzi, Verona 2008). Contemporaneamente è ripresa, presso l’editore Giardini di Pisa, la pubblicazione delle opere del cardinale ormai interrotta da vent’anni. A ciò fa riferimento nella prefazione dell’antologia delle omelie monsignor Luigi Negri, il quale definisce questa raccolta di omelie “un libro ricchissimo e straordinariamente attuale, che recupera un momento fondamentale della vita e della storia della Chiesa italiana: l’episcopato del cardinale Siri (…) È un libro che restituisce attualità a una stagione ricchissima e grandissima della Chiesa italiana”.
La raccolta che ora viene alla luce è un documento dello stile omiletico e catechetico del cardinale, e quindi interessa soprattutto dal punto di vista pastorale. Ma chi conosce Siri sa che tutte le sue opere sono di carattere squisitamente pastorale e quindi vanno considerate come propriamente teologiche poiché la pastorale altro non è che l’impegno dei pastori a continuare l’opera degli apostoli, ossia la diffusione del Vangelo con la predicazione, la santificazione attraverso i sacramenti della fede e il governo della comunità. In tale impegno, se rettamente inteso secondo il mandato del Pastore supremo che è Cristo, il primo posto va riservato all’annuncio propriamente cristiano, ossia alla catechesi dei credenti e all’evangelizzazione di quanti ancora credenti non sono, ma sono chiamati da Dio a diventarlo. Perché “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”, e spetta proprio ai Pastori – ai quali Cristo ha detto: “Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo a ogni creatura” – cooperare al progetto salvifico mediante l’opera di evangelizzazione e la catechesi. L’ascolto e l’apprezzamento di quanto possano proporre gli esponenti della cultura di oggi – scienziati, filosofi, letterati, pensatori politici, teologi – non impediscono il discernimento di ciò che giova alla comprensione e all’accettazione della verità rivelata, con la quale ogni autentica verità umana non può che concordare. Così, analogamente, il dialogo con i “fratelli separati” e con i non credenti non esclude l’annuncio della verità circa l’unica Chiesa di Cristo e l’unico Salvatore di tutti gli uomini. La testimonianza di carità, a sua volta, è in funzione dell’evangelizzazione, e non viceversa, e se i pastori richiamano i fedeli a dare testimonianza di carità nella sollecitudine per i problemi sociali e nella vita politica, è perché tutti i fedeli, assieme ai pastori, sono tenuti, in virtù del battesimo, a essere evangelizzatori.
Nelle opere del cardinal Siri io ritrovo proprio questa giusta gerarchia dei valori, che l’arcivescovo di Genova ha non solo enunciato nelle sue riflessioni sulla pastorale, ma ha costantemente praticato nella sua condotta sacerdotale. È un tratto caratteristico della predicazione di Siri, ben evidenziato anche da Giovanni Paolo ii che, in una lettera a lui indirizzata, scrisse: “Chi legge i Suoi scritti, Signor Cardinale, resta colpito non solo dall’intelligenza e dalla cultura di cui ella dà prova, ma ancora più dalla passione per la verità che La guida a cercare, in ogni problema, la soluzione coerente col dato di fede, senza cedimenti di sorta alle mode culturali del momento”.
Non c’è ombra di retorica o di vuota ufficialità, in queste omelie, perché in esse, al di là di elementi formali che possono essere più o meno graditi alla sensibilità culturale odierna, sono sostanzialmente l’espressione del senso di responsabilità e dello zelo di un pastore che si trova ad affrontare le sfide e le difficoltà che noi pure, a distanza di vent’anni, ci troviamo ad affrontare. Si tratta dunque, malgrado le apparenze, di documenti assai importanti. Lo si comprende proprio dall’esempio che essi offrono di una pastoralità autentica, ossia di una sincera e concreta “carità pastorale”. Questo è dunque il criterio che consente di apprezzare come meritano le omelie del cardinal Siri: non sono importanti malgrado il loro stile semplice e popolare, ma proprio per questo loro carattere, nel quale è evidente il senso di responsabilità del pastore nei confronti del suo gregge. Egli non fa sfoggio di erudizione, né ricorre a concetti astrusi, perché non mira a destare ammirazione per la sua profonda dottrina – che pure è il fondamento dei suoi discorsi – ma a scuotere le coscienze con la riproposizione delle verità eterne che derivano immediatamente dalla Parola di Dio e hanno il potere di suscitare nell’animo di tutti i credenti i sentimenti propri della fede – quelli per i quali la Chiesa ha istituito le festività liturgiche – ossia lo spirito di conversione e di penitenza; la fiducia nella misericordia di Dio Padre; la speranza di essere alla fine partecipi della gloriosa resurrezione di Cristo.
Molto opportunamente monsignor Negri, nella prefazione, inserisce questo documento dello stile omiletico dell’arcivescovo di Genova nel contesto di un rinnovato interesse per le grandi figure della pastorale di un tempo ormai passato, ma indubbiamente ricco di frutti apostolici: “Queste omelie di Siri ci dicono il segreto di questa grandezza cristiana, ecclesiale, culturale e sociale. L’assoluta difesa dei diritti di Dio al centro della predicazione: Dio è tutto, e tutto dipende da Dio e nulla può essere fatto di positivo se non rispettando rigorosamente questo primato di Dio sulla realtà. E poi il mistero di Cristo, il mistero amabile di Cristo vissuto in una liturgia che era, realmente, la parte fondamentale, generatrice di tutto nella vita del vescovo, del vescovo liturgo che celebrava la liturgia per sé e per il popolo con una fedeltà rigorosa e un trasporto quasi mistico. Una liturgia nella quale e chi celebrava, e chi partecipava, incontrava il mistero del Signore presente, sentiva proclamata una parola e, nell’omelia, apprendeva una cultura nata dalla fede che apriva l’intelligenza e il cuore, dei singoli e del popolo, a vivere cristianamente di fronte al mondo, nella società”.
Queste omelie, assieme a tutti gli altri scritti già pubblicati o ancora inediti, serviranno a far apprezzare meglio oggi le qualità propriamente pastorali del cardinale Giuseppe Siri: la sua impostazione dottrinale, il suo riferimento costante al magistero ordinario e straordinario della Chiesa – il concilio Vaticano II- e infine la sua sincera e profonda spiritualità. Ma, oltre all’indubbio interesse per gli studiosi di storia della Chiesa, il testo costituisce per tutti i credenti una lettura edificante – nel senso originario e cristiano del termine – perché in esso le festività liturgiche offrono l’occasione e l’invito a perseguire in qualsiasi tempo la perfezione della carità alla quale siamo chiamati. È un invito che edifica quando – come in questo caso – viene da chi “parla con autorità”, ossia da chi sa proporsi personalmente, con la sua fede vissuta e il suo sacrificio, come esempio di fedeltà alla propria vocazione. E quanto osserva monsignor Giacomo Barabino nell’introduzione del volume: “Il Cardinale fu, per chi lo incontrava nelle circostanze più disparate, una predica che richiamava verità e valori superiori, e tutti percepivano l’irraggiamento spirituale della sua persona”.
(©L’Osservatore Romano – 11 dicembre 2008)
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