Signore, non adirarti senza fine,
non ricordarti per sempre dell'iniquità.
Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo.
Le tue città sante sono un deserto,
un deserto è diventata Sion,
Gerusalemme una desolazione.
Il nostro tempio, santo e magnifico,
dove i nostri padri ti hanno lodato,
è divenuto preda del fuoco;
tutte le nostre cose preziose sono distrutte.
Dopo tutto questo,
resterai ancora insensibile, o Signore,
tacerai e ci umilierai sino in fondo?
(Is 64,8-11)
Le parole del profeta Isaia della lettura dell'Ufficio delle Letture di oggi sono molto approrpiate ai tempi che stiamo vivendo. I buoni cristiani si sentono abbandonati nel deserto. Sion, il centro stesso della fede, coì come il Tempio, Gerusalemme, sono ridotti a un deserto, sono preda del fuoco. Il dolore lancinante è provocato dal fatto che
la distruzione riguarda proprio quelle cose preziose fondamentale che ci hanno accompagnato nella vita, cioè la santità e magnificenza del Tempio, della Sacra Liturgia, della Santa Chiesa. Oggi vediamo ruderi. La Liturgia è profanata, o meglio è divenuta profana, la Chiesa è divenuta un covo di briganti e di congiurati per trasformarla da luogo di salvezza in luogo di perdizione. Basta andare a confessarsi da uno dei tanti preti alla moda per sentire vanificato il proprio sforzo di fedeltà alla Legge di Dio! I peccati mortali minimizzati, ridotti a "fragilità", a "difficoltà psicologiche", a "momenti di crescita". La trascendenza della Liturgia si appiattisce in un immanentismo profano e umanistico che plaude ai "valori" mondani. La parola di Isaia ci sprona a gridare a Dio il nostro dolore per chiedergli quei pastori coraggiosi di cui abbiamo estremo bisogno perchè mancano, pronti a dare la vita per la vera fede, mai compromessi col mondo e le sue mode ideologiche bastarde. Veri pastori cattolici e non brutte copie delle già bruttissime copie che sono i politicanti e affini. Ora è il tempo di soffrire e pregare, di pregare gridando a Dio.
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