di Giulio Luzzi
Giuseppe Brienza, “Il Magistero di Pio XII e l'ordine sociale”, con una Prefazione di Francesco Mario Agnoli (pp. 5-12), Fede & Cultura, Verona, pp. 112, € 11,00
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apostolica Menti nostrae, del 23 settembre 1950, ha poi assunto quella definizione ormai definitivamente affermatasi di «dottrina sociale della Chiesa».
L’ultimo libro edito sul Magistero sociale di Pio XII dalla piccola ma sempre più affermata editrice “Fede & Cultura” di Verona, diretta dal prof. Giovanni Zenone Ph.D., ha il pregio di accostarne l’insegnamento soffermandosi particolarmente sui temi della famiglia e della organizzazione sussidiaria della società e dello Stato.
Il volume scritto dal giornalista e saggista Giuseppe Brienza, in questo senso, appare utile non solo per farsi un’idea della valenza dei numerosi discorsi e radiomessaggi natalizi pacelliani (soprattutto del 1941, 1942 e 1943), ma anche per conoscere l'opera di quanti – tra i fedeli laici cattolici – si sono nel recente passato fatti interpreti del corpus magisteriale sociale di Pio XII.
Il Magistero di Pio XII e l'ordine sociale, in particolare, valorizza l’insegnamento di Papa Pacelli grazie alla riscoperta di una figura finora piuttosto sconosciuta, l'economista e sociologo Ferdinando Loffredo (1908-2007), che ha dedicato – letteralmente – quasi tutta la sua esistenza (un secolo) alla valorizzazione e alla promozione pubblica, soprattutto in ambito scientifico, della Dottrina sociale della Chiesa e dei naturali corpi intermedi su cui essa poggia, a partire dalla famiglia.
Dopo una introduzione che sintetizza il lungo processo, ancora in corso, di canonizzazione di Papa Pacelli (cfr. A margine del processo di canonizzazione di Pio XII, pp. 13-16) e, dopo, opportunamente inquadra la biografia e l'opera di Loffredo (cfr. Ferdinando Loffredo e lo sviluppo delle politiche familiari in Italia, pp. 17-73), confutando in particolare la mistificazione della sua figura che si è avuta nei decenni scorsi a causa di gruppi femministi e progressisti, Brienza ne riprende uno studio del 1958, intitolato La sicurezza sociale nelle dichiarazioni del Pontefice Pio XII (pp. 74-92), che ha fra l’altro il merito di costituire una “apologia” del Papa, fornendo ulteriore prova storica di come la sua solidità di magistero fu apprezzata da studiosi laici, come in questo caso il socialdemocratico Angelo Corsi (1889-1966), direttore della rivista nella quale il lungo saggio di Loffredo fu pubblicato originariamente, cioè “Previdenza Sociale. Rivista bimestrale dell’I.N.P.S.”. Il magistrato e storico Francesco Mario Agnoli, nella prefazione al libro di Brienza (cfr. F.M. Agnoli, La politica natalista e la famiglia naturale nell’opera Ferdinando Enrico Loffredo, pp. 5-12), ribadisce l’importanza di una figura come quella di Loffredo, quando ad esempio sottolinea come, la cosiddetta 'questione demografica' (con la relativa crisi di massa della natalità), oggi nodale per l'Occidente, non può essere risolta adottando un approccio meramente economico-finanziario, fatto magari di “incentivi [...] e agevolazioni concesse nel mondo del lavoro ai padri di famiglia” (p. 10) ma, come era già convinto Loffredo, sulla scorta dell'insegnamento sociale della Chiesa, operando semmai anzitutto su un piano giuridico e culturale per affermare che gli ordinamenti e le leggi statali non creano essi la famiglia ma piuttosto la riconoscono oggettivamente come un dato universale pre-esistente. Uno sguardo lucido, a tratti drammaticamente antiveggente, che attraversa le sue pagine e facendo tesoro del Magistero di Papa Pacelli non cessa di interrogare nemmeno i posteri: “Come sarà mai possibile attuare un energico programma demografico quando ad opera dello stesso Stato il controllo delle nascite e l'aborto volontario saranno divenuti pratica generale, parte integrante del modo di concepire la vita?”(p.56).
Recensione presente su "La nottola della Minerva" n. 4-6 luglio-dicembre 2012
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