di Fabio Trevisan
Con questo interessante saggio (“Ci salveranno le vecchie zie”- Edizioni Fede & Cultura), Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro inaugurano la
collana de I libri del ritorno all’Ordine, che ha il merito di offrire una vasto
panorama di critica alla modernità nel riconoscimento della Tradizione della
Chiesa Cattolica. Fin dal prologo, gli Autori rispondono positivamente
all’interrogativo posto da Leo Longanesi nel 1953 (“Ci salveranno le vecchie zie ?”), affermando che la Tradizione va
salvaguardata soprattutto da chi la vive quotidianamente, ovvero
da chi
custodisce, come le vecchie zie, l’Ordine delle cose con pazienza, amore,
tenacia, sacrificio e fede.
Citando San Vincenzo di Lerino (“Bisogna soprattutto preoccuparsi perché sia conservato ciò che in ogni
luogo, sempre e da tutti è stato creduto”), Gnocchi e Palmaro rilevano
quanto del ricco patrimonio tradizionale sia andato perduto nella moderna
società secolarizzata, che ha posto il
passato e i suoi strumenti sotto una campana di vetro, rendendoli così
intangibili al servizio della vita quotidiana. Perso così l’esercizio costante
del sensus Traditionis, ovvero il
lavoro per ricostruire il senso comune nella quotidianità, vivere la Tradizione
può divenire impresa eroica o forsennata, come argutamente attesta
l’espressione efficace sans papiers de l’Eglise
coniata dagli Autori. Cosa fare per ripristinare l’Ordine nel quotidiano,
la Tradizione nella vita ordinaria in un quadro corrotto dal neomodernismo ?
Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro rispondono innanzitutto
con il vecchio e saggio adagio: “Bisogna
armarsi di santa pazienza” recuperando, con le loro stesse parole, monconi di vestigia tradizionali , dando
loro forma organica, unitaria il tutto con amorevole cura e mai rassegnata fiducia.
In secondo luogo, indicano gli Autori, vanno evitati sterili intellettualismi
che rendono incapaci di parlare al prossimo, in totale assenza di carità; vanno
altresì incoraggiati tutti quei tentativi che recuperino ad esempio quel senso naturaliter cattolico per la liturgia
che alberga nel cuore dell’uomo, per ricondurlo, con l’aiuto della Grazia, a
casa, nel seno della Verità della Chiesa Cattolica. Risvegliare così il sensus fidei dei fedeli ordinari è
compito grandioso che, anche alla luce del Magistero della Chiesa, assume un
valore inestimabile; riportare la naturalezza e la familiarità della fede nella
Tradizione quotidiana significa, al di là e al di più di mille elucubrazioni,
trasmettere agli uomini di ogni tempo la continuità della bellezza e della
schiettezza del vivere feriale, permettendo così di assaporare la genuinità e
la verità dell’essere cristiani. La difesa di questi legami invisibili tra
Cielo e terra, tra Creatore e creature, è compito degli autentici restauratori
dell’Ordine divino nel quotidiano ed è impreziosita dagli Autori con stupende
citazioni tratte da Antoine de Saint-Exupéry, Charles Peguy e Giovannino
Guareschi; di quest’ultimo viene riportato lo straordinario brano in cui Don
Camillo viene illuminato dal Cristo crocifisso per la salvaguardia del seme
della fede contro il deserto spirituale mondano.
Facendo proprio il memorabile invito di Padre Pio: “Fate i buoni cristiani”, Gnocchi e
Palmaro rammentano che l’affermazione di Padre Pio, oltre che ad essere una di quelle misericordiose perle tratte
dal tesoro della comunione dei santi, risponde ad un mondo che ha bisogno
di conversione, a partire evidentemente dalla propria: per convertire un mondo che non adora si esigono persone che adorano,
per parlare a un mondo che non si umilia ci vogliono persone che si umiliano. Citando
anche Georges Bernanos e la vicenda delle suore carmelitane martiri durante la
Rivoluzione francese a Compiègne, gli Autori riprendono la critica alla
modernità, che ha reso sempre più difficile la preghiera e quindi ha portato all’oscuramento
della Presenza Reale del Santissimo, dell’Eucaristia e della divinità di Nostro
Signore Gesù Cristo.
Non solo, anche il linguaggio, osservano i due Autori, esprime
la caduta dal piano ontologico (che riguarda l’essere) a quello psicologico
(che riguarda il percepire): linguaggio che così esprime il primato del
soggettivo sull’oggettivo e che perde il reale contatto con la verità delle
cose (ravvisabile sia in senso liturgico
che nel comune rapporto con il prossimo). Mirabile e commovente, con le parole
di Guareschi, il finale del capitoletto Lacrime
che salgono verso il Cielo, laddove gli Autori riflettono sulla tenerezza del Signore che si fa figlio
dell’uomo fino alla lacrima che riga con un filo d’argento il legno nero della
croce … specchio di una delicata armonia tra la gravità del mondo e la levità
della Grazia.
Nella seconda parte del saggio, Gnocchi e Palmaro indicano
con audacia i nemici e gli ostacoli che si frappongono frequentemente a colui
che vorrebbe preservare la Tradizione e qui lo stuolo di avversari si allarga
inequivocabilmente. Gli Autori non celano nomi e situazioni, come nella vicenda
sconcertante legata alla morte del Card. Martini ed alla sua “indebita
canonizzazione” anche da parte di molto mondo cattolico ed alle
strumentalizzazioni rese possibili dall’ambiguità teologica dell’ex arcivescovo
di Milano (di cui la proposta eutanasica sul fine vita da parte del
parlamentare del Partito Democratico Furio Colombo, intitolata proprio “Legge
Martini”).
Oltre all’enumerazione delle eresie che contraddistinguono
la nostra epoca, il saggio ha il pregevole merito di indicare nella laicità e
nel suo linguaggio uno degli aspetti più sconosciuti dell’azione del Maligno.
Con le parole dello scrittore canadese Marshall McLuhan, come osservano Gnocchi e Palmaro, si delineano acutamente gli
strumenti di distruzione del senso comune cattolico: “La Chiesa (con l’invenzione della stampa a caratteri mobili di
Gutenberg) in quel periodo è stata
distrutta o smembrata da un incidente storico banale, cioè dalla tecnologia”. Il
monito non ha ovviamente alcuna valenza anti-scientifica ma si pone
all’attenzione per un’avveduta riflessione sulla portata e sull’impiego del
mezzo comunicativo: “Il mondo stampato è
visivo … Lutero e i primi protestanti, uomini della scuola che sapevano
leggere, hanno trasferito il vecchio metodo di discussione scolastica sul nuovo
ordine visivo: hanno utilizzato la recente scoperta della stampa per
incrementare la frattura che li opponeva alla Chiesa romana”. Sempre
McLuhan, nel saggio Il microfono e la
liturgia spiegava come l’utilizzo della tecnologia avesse portato alla
perversione della liturgia: “Molte
persone lamenteranno la scomparsa della Messa in latino dalla Chiesa cattolica,
senza capire che in realtà è stata vittima del microfono posto sull’altare”. Attraverso
le parole dello studioso canadese, Gnocchi e Palmaro hanno posto in debita
considerazione il ridursi dello spazio sacro in quantità e qualità, laddove
l’altare, luogo del sacrificio di Cristo, cessa di essere il punto focale del
manifestarsi del mistero. La profanizzazione del Tempio, come anche quella del
corpo umano, non permette così alla persona di capire di dipendere, con le
parole degli stessi Autori, da Qualcuno
di più grande.
Dalla devastazione dell’ortodossia, garanzia di una corretta
ortoprassi, derivano ultimamente tutte le mode transeunti che passano
fenomenologicamente dal “cattolaico” al “cattocomunista”, dal “neopauperista”
(che veste Prada) al progressista “comuncattolicista”, secondo le esilaranti e
pertinenti attribuzioni coniate da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro.
Emerge così un triste (in quanto eretico) e comico (in
quanto superficiale) campionario di
posizioni che sintetizza il brillante ed umoristico detto: “Poche idee ma confuse”.
Nella terza e conclusiva parte gli Autori indicano con
lucidità e fermezza l’antidoto alla dissoluzione del cattolicesimo, che è il recupero di una saggezza che associa il
corpo al suo destino eterno. Con Padre Pio, che ha portato sul suo corpo i
segni dolorosi della conformazione a Cristo, gli Autori hanno voluto indicare
un testimone della Tradizione mostrata
fin nei segni delle stigmate … di cui non c’è traccia di odio per il proprio
corpo. Con un altro grande apologeta della fede, Gilbert Keith Chesterton,
gli Autori hanno voluto, come con le vecchie zie, mostrarci come tutto vada
curato, amato, protetto, perché tutto dono di Dio. Contro i tic ed il logorio
della cultura moderna ammalata di psicologismo, sociologismo ed intellettualismo
occorre ritornare al realismo incantato di un Giovannino Guareschi in cui la parola è divenuta intimità con il mistero
ed introduce ad una sapienza soprannaturale. Occorre ritornare ad una
“visionarietà ragionevole” di Chesterton in cui la virtù della logica è applicata ai principi eterni o ad un’
“epica fiabesca” di Tolkien in cui si assapora il vero ritorno a casa, perché si ha sperimentato (come l’hobbit
Samvise Gamgee) che nel mondo c’è
qualcosa di sacro e di grande. O come nelle parole del grande scrittore
cattolico Eugenio Corti che, alla domanda come fece a mantenere la fede durante
la guerra, rispose: “Ho salvato la fede
perché senza la fede non si vive”.
Nell’Epilogo del saggio gli Autori hanno ravvisato e
confermato, nelle vecchie zie, coloro che hanno avuto la capacità amorevole di
serbare ciò che conta poiché quando lo
sguardo riposa nelle cose del Cielo diventano riflesso celeste anche quelle
della Terra.
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