Il riparo dal mondo


di Danilo Quinto
“Le letture di oggi – dice il sacerdote, rivolgendosi ai bambini – parlano sì di matrimonio, ma hanno soprattutto un connotato in comune: la fedeltà. Che cos’è la fedeltà? Quanti interisti ci sono tra voi?”. Qualche bambino alza la mano. “Bene, siete pochi”, commenta il prete. “Quanti sono gli juventini?”, chiede. In molti, alzano la mano e la alza anche lui, compiaciuto. “Bravi. Ecco spiegata la fedeltà”.
A quel punto della predica, sono uscito. Per non commettere peccato. Avevo già sentito il sacerdote, di recente
nominato parroco, che si rivolgeva nel dialetto del luogo, scherzava, faceva battute, interrotte da applausi e risate. Avevo già ascoltato canti scanditi con i battiti delle mani e i movimenti dei corpi, come si fosse in una discoteca, ma non ce l’ho fatta a sentire paragonata la fedeltà a Dio a quella calcistica.

So di aver sbagliato. Spero che Dio mi possa perdonare. Forse dovevo continuare a recitare il rosario mentre ascoltavo l’omelia e quei canti, quegli applausi, quelle risate di bambini e genitori, ma non me la sono sentita. Dovevo donare la mia sofferenza a Dio. Non pensare che durante la Messa si celebra il Suo sacrificio e che questo sacrificio richiede rispetto, silenzio, preghiera, meditazione e raccoglimento. Cose che possono comprendere perfettamente anche i bambini, ai quali quella Messa era dedicata. Possono comprenderle se vengono loro insegnate. Purtroppo, si assiste sempre di più, durante le celebrazioni liturgiche, alla necessità di trasformarle in occasioni dove le uniche cose che trionfano sono il cattivo gusto e la mondanità.

Gesù scacciò coloro che profanavano il Tempio di Suo padre. Oggi, in molte Chiese, sembra sia impedito di vivere il riparo dal mondo e dai suoi mali.

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