di Camillo Langone
Voglio anch’io un partitino personale, un partitino finto-estremista in realtà sempre nel cuore del formaggio, un partitino che strilli contro la partitocrazia e di partitocrazia campi per secoli, un partitino costosissimo in cui le perdite siano intestate al contribuente e il patrimonio immobiliare intestato a me, un partitino con idee capricciose o semplicemente dementi con le quali semidistruggere la società italiana senza però pagare pegno, anzi, ricavandone considerazione e candidature al laticlavio a vita, un partitino che si finga vittima e agisca da ricattatore, un
partitino che traffichi con la destra o con la sinistra a seconda della momentanea convenienza, un partitino dove gli organi dirigenti esistano solo per ratificare le mie decisioni, un partitino dove per diventare segretari o parlamentari sia utile se non indispensabile piacermi fisicamente, venire in albergo con me e baciarmi sulla bocca durante le riunioni. Un partitino come il partitino Radicale di Marco Pannella così come viene raccontato da Danilo Quinto, ex tesoriere appunto del partitino, in “Da servo di Pannella a figlio libero di Dio” (Fede & Cultura).
Il Foglio, 6 settembre 2011
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