di Danilo Quinto
L’uscita di Nichi Vendola di candidare Prodi al Quirinale in risposta alla “provocazione” di Renzi, che ha ricordato come fosse stata determinante proprio Rifondazione Comunista nella caduta del secondo Governo Prodi, si presta ad una doppia lettura. La prima è legata alla convenienza politica del Presidente della Regione Puglia, che raggiunto l’accordo elettorale con Bersani, ha necessità di eliminare qualsiasi “concorrenza” all’interno della coalizione
che si va formando. La seconda lettura riguarda direttamente Prodi e tutti coloro che ammirano le sue capacità e la sua competenza. Proprio per questa ragione, Vendola e tanti altri insieme a lui, dovrebbero indurre Prodi a fare un’opera di verità. Una verità non marginale, ma centrale nella storia d’Italia: la vicenda Moro, il suo rapimento e il suo assassinio. Gianluca Neri ne “Il caso Moro: Romano Prodi, Via Gradoli e la seduta spiritica”, scrive: “Il 3 aprile 1978, nel corso di una seduta spiritica a cui partecipa il futuro presidente dell’Iri, Romano Prodi, una ‘entità’ [nella fattispecie, e come risulterà dal verbale, gli spiriti di Don Sturzo e La Pira, n.d.r] avrebbe indicato ‘Gradoli’ come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro. Sulla base della segnalazione dall’aldilà, il 6 aprile viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. Al ministero dell’Interno, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su via Gradoli, nessuno mette in collegamento le due cose. È la moglie di Moro, Eleonora, a chiedere se non potrebbe trattarsi di una via di Roma. Cossiga in persona, secondo la testimonianza resa in commissione da Agnese Moro, risponde di no. In realtà via Gradoli esiste, e sta sulle pagine gialle”.
Prodi nel 1981 depone davanti alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul caso Moro. Tra i commissari, c’è Leonardo Sciascia. Le domande dello scrittore siciliano vorrebbero portare a risposte ragionevoli il suo interlocutore. Forse Sciascia era condizionato da quel che aveva scritto tempo prima: che l’insieme dell’”affaire Moro” fosse accaduto in una dimensione letteraria, una perfezione da “messa in scena” che non può appartenere che all’immaginazione. Ecco, Vendola, prima di candidare Prodi alla Presidenza della Repubblica, dovrebbe suggerirgli di dare, a distanza di 34 anni, risposte ragionevoli. Anche Sciascia lo chiede ancora dall’aldilà. E poi Prodi è uomo dabbene e gli uomini dabbene dicono sempre la verità.
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