di Danilo Quinto
Aldo Moro teorizzò il 'male minore' |
Esiste una teoria di cattolici, prestigiosi e no, laici e prelati, numerosa e assordante, che ha solo l’obiettivo di perseguire il male minore. Di fatto, così, cooperano con il male. E su questo, non ci può essere discussione, perché questa cinica “strategia” ha già prodotto danni immensi nel nostro paese.
Su “Il Timone” n. 26 del luglio/agosto 2003, Mario Palmaro scriveva: “Pochi ricordano che la 194 è l’unica legge
sull’aborto al mondo che porti la firma esclusivamente di uomini politici cattolici. Quando viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 maggio del 1978, essa porta in calce la firma di cinque politici dello Scudo crociato: il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e i ministri Tina Anselmi, Francesco Bonifacio, Tommaso Morlino, Filippo Maria Pandolfi. I membri dell’esecutivo della Dc avrebbero potuto dimettersi piuttosto che firmare una legge assolutamente inaccettabile, ma rimasero alloro posto ‘per il bene del Paese’. Il Capo dello Stato, anch’egli democristiano, Giovanni Leone, avrebbe potuto rimandare la legge 194 alle Camere per sospetta incostituzionalità, senza nemmeno dover rassegnare le dimissioni, in base all’articolo 74 della Costituzione. Invece, dopo soli quattro giorni firmò. Purtroppo non fu solo la paura, o l’attaccamento al potere, a portare al tradimento gli uomini della Dc. Da anni era in atto una trasformazione del partito, che gettava le basi per un disimpegno progressivo sulle questioni più scomode e cruciali. Il 20 luglio del 1975, al Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, il premier in carica Aldo Moro prende la parola: ‘La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere nel riserbo delle coscienze alcune valutazioni rigorose, alcune posizioni di principio che sono proprie della nostra esperienza in una fase diversa della vita sociale, ma che fanno ostacolo alla facilità di contatto con le masse e alla cooperazione politica. Vi sono cose che, appunto, la moderna coscienza pubblica attribuisce alla sfera privata e rifiuta siano regolate dalla legislazione e oggetto di intervento dello Stato. Prevarranno dunque la duttilità e la tolleranza’. La linea politica era dunque tracciata, nel segno della resa e del rinnegamento dell’identità sulle ‘cose che contano’”.
Nei decenni successivi e soprattutto negli ultimi anni – diciamo dall’iniziativa del Family Day del 2007 in poi – la “strategia” eterodiretta dei cattolici impegnati in politica, è stata ancora quella, spiace dirlo, indicata da Moro: cercare il dialogo, la tolleranza, la duttilità, raggiungere il compromesso, anche con coloro che palesemente avevano ed hanno altri fini, consoni alla necessità di eliminare ed annientare i principi dell’ordine naturale. È accaduto sulla legge 40, sulla discussione sul testamento biologico, sull’introduzione in varie regioni della RU486 e sul dibattito sulla pillola del giorno dopo e dei cinque giorni dopo. Accadrà sul matrimonio omosessuale, sull’adozione di bambini per le coppie omosessuali, sull’eutanasia, sul disegno di legge che prevede il riconoscimento di figli naturali a causa d’incesto e prima o poi anche sulla pedofilia.
Le “cose che contano” per questo tipo di cattolici, non sono i principi, altrimenti si guarderebbero bene dal raggiungere compromessi, che poi puntualmente si ritorcono sempre contro li persegue. Quello che conta è affermare il proprio potere, nell’ambito politico o della rappresentatività e visibilità sociale. Perseguono il male minore e difendono ad oltranza la legge sull’interruzione di gravidanza, ad esempio o pensano di opporre alla richiesta omicidiaria degli eutanasici le risibili e suicide norme sul testamento biologico o boicottano, esplicitamente o con il silenzio, la Marcia per la Vita, che riunisce a Roma decine di migliaia di preti, suore, medici, infermieri, bambini con le loro famiglie, difendendo persino l'applicazione della 194. Lo fanno per mediocrità, per pavidità e per conservare il loro ruolo. Sono “vuoti dentro”, sembrano non possedere anima che si fa coraggio, non vogliono affrontare il male per quello che è. Sono militanti – consapevoli o no, in buona fede o no - del “male minore”, che per un battezzato non esiste. Come il Vangelo non chiede di essere un “poco buoni”, ma solo “buoni”, timorosi di Dio e dei Suoi comandamenti, così non chiede di considerare l’esistenza di un male che possa definirsi “minore”. Se c’è un male, tale è. Da esso occorre preservarsi, non cooperare, non coltivarlo, non fare compromessi. Combatterlo con nettezza e chiarezza di pensiero e posizioni.
Tant’è. Il relativismo produce queste derive. Ammorbati dalla logica del “bene comune” su questa terra, che non si comprende in realtà cosa voglia dire, molti cattolici pensano che il Paradiso riguardi “tutti”, anche coloro che praticano il male e non si pentono. Se invece si ragionasse sul “per molti”, molte cose cambierebbero. A cominciare – e non sarebbe cosa di poco conto – dalla Verità da testimoniare e da affermare. Con l’obiettivo – e per i cattolici non vi dovrebbe essere altro obiettivo da tentare di perseguire – di conquistare la vita eterna attraverso il passaggio sofferente e insieme gioioso su questa terra.
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