Cultura è libertà


di Danilo Quinto
All’inizio del secolo scorso, un grande meridionalista, Guido Dorso, ne “La Rivoluzione Meridionale”, scriveva così: “il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia; non chiede aiuto, ma libertà. Se il Mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l'esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile...”.

Altri tempi, altri uomini e altre storie. Ora tutto, anche la libertà del Mezzogiorno, il suo affrancamento dalla carità pelosa e inutile, sembra dipendere dallo spread, dai banchieri, dai tecnocrati, da coloro che per “mestiere” badano solo all’approccio
utilitaristico e materiale alla realtà che li circonda, ignorando la ragione intrinseca, antropologica, dell’essere umano che vive nel mondo. Seguono, quindi, l’impostazione e la prassi di decenni di politica d’accatto, che ha fatto strame di un territorio, depredandolo delle sue risorse, intellettuali e umane e offrendogli solo miserevole assistenza, quando andava bene. Non uno straccio di proposta che affranchi questa parte d’Italia dalle sue miserie. Da quella classe politica e imprenditoriale, che ha praticato, per sopravvivere a se stessa, un connubio strettissimo con la criminalità, organizzata e no, che ha consentito che i lavoratori meridionali – come il caso dell’ILVA insegna - sotterrassero per decenni il loro diritto alla salute per conservare il loro posto di lavoro, che si spartisce posti di potere e di sottopotere in una girandola vergognosa di malversazioni e di corruzione, che ha fatto crescere nella società civile, divenuta connivente, la convinzione che tutto possa essere comprato. La vita, i bisogni, le speranze.
Quando Dorso parla di libertà, sa che questa è cultura. Capacità di esercitare la responsabilità, riconoscere la propria dignità e pretenderne il rispetto. Se un popolo non cresce nella cultura, è morto nella sua identità. Sopravvive. Si arrangia. Si piange addosso. Procede per inerzia. Il potere è consapevole che mantenere le persone nell’ignoranza, rende più semplice il governo delle cose e ci sguazza in questo disegno perverso.
Al di là delle celebrazioni rituali e ipocrite sull’unità d’Italia, che non si è mai realizzata, è questa la condizione attuale del Mezzogiorno. Una “grande questione nazionale”, così come viene definita nei discorsi pomposi e ripetitivi, oltre che ipocriti, che non si riuscirà mai a risolvere se non sarà chiaro il punto di partenza: devono essere i meridionali a comprendere il degrado che li circonda e ad operare di conseguenza. Devono guardare al mondo, acculturarsi, conoscere, formarsi, respirare aria pulita. Far crescere i loro figli, sin da bambini, nella necessità di accumulare sapere e saperi, di praticare le regole e i doveri, che sono l’essenza dell’esercizio della libertà. Come? Mettendosi “in gioco”, cercando di testimoniare la verità sulla vita a cui sono costretti, priva di decoro e di prospettive per le quali valga la pena essere al mondo. Ci vorranno generazioni? E’ possibile. L’alternativa è prendere atto che il territorio del Sud d’Italia è nella sua interezza estraneo ad una prospettiva di civiltà.

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