IL LIBRO. Il giornalista vicentino Roberto Dal Bosco firma un saggio
Piace ai vip ma secondo l’autore priva di umanità le persone, le estingue e somiglia alla stregoneria
«Il buddismo è distruzione». Mai una tesi tanto chiara è emersa da un libro. Il vicentino Roberto Dal Bosco, che vive e lavora a Milano, è giornalista pubblicista e da anni si interessa delle culture dell’Asia, ha scritto un libro che s’intitola “Contro il buddismo – Il volto oscuro di una dottrina arcana” (edito da Fede & cultura, 15 euro).
Smontare la religione che negli ultimi tempi ha conquistato l’Occidente è il compito che Dal Bosco si prefigge sin dalle
prime pagine. Facendo indubbiamente discutere. L’intento, così come i toni decisi e le parole che utilizza per smascherare il sorriso di Budda, è aprire gli occhi a tutti coloro che sono rimasti affascinati dal buddismo.
Oggi a subire gli influssi della religione orientale non sono più i missionari, o gli scrittori romantici, ma uomini e donne comuni, contagiati dalle conversioni di attori, artisti e calciatori.
L’invito di Dal Bosco, quindi, è rivolto al grande pubblico sempre più portato a considerare il buddismo come la religione della pace e del bene. Niente di più sbagliato, direbbe l’autore.
Il buddismo viene una volta descritto come «un grande inganno», un’altra come «una religione votata alla rovina, alla devastazione, all’annichilimento». Il buddismo, troppo spesso frainteso, secondo lo scrittore, è protagonista di fatti oscuri e raccapriccianti.
Nel libro trovano posto i testi del buddismo tibetano che teorizzano lo stupro e la pedofilia; la figura controversa del Dalai Lama e i suoi progetti di “buddistizzazione” del pianeta; i massacri compiuti nello Sri Lanka ad opera di un esercito buddista; la conversione al buddismo dei divi di Hollywood, per restare in tema di attualità. I fatti di cronaca – di questi si avvale soprattutto Dal Bosco – gettano una luce inedita sul buddismo, che vive in particolare sulla sua natura radicalmente nichilista, che predica l’estinzione del sé, della persona con i suoi sentimenti, la priva dell’umanità.
È proprio sull’annullamento dell’individuo, sul quale invece si fondano la cultura e la civiltà occidentale, che l’autore si concentra a più riprese per mostrare l’inconsistenza ma anche ciò che fa del buddismo una religione deprecabile. Come la stregoneria.
Nella pagina conclusiva del capitolo “Stregoneria totale”, scrive: «Il buddismo è un culto del nulla e quindi un culto del male. E se il fine di un culto è il male, la via rituale per arrivarci, oltre al delitto, è la magia nera, il commercio con i poteri dell’inferno, e cioè quello che un tempo si chiamava “stregoneria”».
Marta Benedetti, Il Giornale di Vicenza 27 giugno 2012 p. 63
4 commenti:
In opposizione a “Contro il buddismo” di Roberto Dal Bosco
Citare testi, in questo caso buddhisti, per comprovare i propri punti di vista e per affermare una presunta superiorità culturale su qualcosa che non si ha alcuna conoscenza diretta è un errore che lo scrittore Dal Bosco ha commesso e a cui in passato si è cercato di rimediare tramite quello che viene chiamato “Relativismo culturale”:
“Fino a tutto il XIX secolo, si riteneva che esistessero popoli provvisti di cultura e popoli privi di essa. I gruppi etnici diversi da quelli occidentali, seppur portatori di cultura, venivano considerati popoli di natura, “primitivi” o “barbari”. Questa divisione così netta era dettata da una forma di etnocentrismo dell’uomo occidentale, auto-proclamatosi unico detentore del sapere “universale”, in grado di proporre la propria cultura come termine di paragone per le altre. La tendenza di interpretare o valutare le altre culture partendo dalla propria, divenne evidente presso gli europei dopo le grandi spedizioni geografiche, con la scoperta dell’America, delle isole del Pacifico e dell’estremo oriente. Alcuni antropologi, ad esempio, consideravano i popoli pre-letterati privi di qualsiasi forma di religione (come fece Sir John Lubbock [1834-1914]) o provvisti di una “mentalità pre-logica” (come sostenne l’antropologo-filosofo Lucien Levy-Bruhl [1857-1939]), semplicemente perché il loro modo di pensare non corrispondeva a quello della cultura sviluppatasi nell’Europa occidentale. […]si sviluppò all’inizio del ‘900 il cosiddetto “Relativismo culturale”. Gli assertori di tale teoria combattevano l’etnocentrismo, negando l’esistenza di un’unità di misura universale per la comprensione dei valori culturali, poiché ogni cultura era portatrice di istituzioni ed ideologie che non avevano validità al di fuori della cultura stessa. Emerse un nuovo punto di vista che facilitò una profonda comprensione e un più sottile apprezzamento delle culture molto diverse dalla propria”). di Federica Triolo, laureata in scienze Demo-etno-antropologiche presso l’università La Sapienza di Roma.
Il Dal Bosco si è comportato allo stesso modo degli antropologi citati dalla Triolo. Evidentemente il sedicente “buddhologo” scrivendo quello che ha scritto, del “Relativismo culturale” ne è a scarsa conoscenza, o se ne ha sentito parlare ha scelto di ignorarlo, e ha usato testi buddhisti, interpretandoli a modo suo, per confermare i suoi pregiudizi verso qualcosa di cui non conosce assolutamente nulla. Per usare un paragone, sarebbe come per un non cristiano, che non avendo nessuna conoscenza del Cristianesimo, leggendo passi della bibbia e dei vangeli, dove si menziona che Gesù si intrattiene con Maria Maddalena, o Maria di Betania (vedi episodio di Gesù nella casa dei Farisei, Luca 7:36-50), giungesse alla conclusione, erronea, che Gesù era un habitué di bordelli …! Inoltre, il Dal Bosco ha messo insieme elementi disparati, come la guerra in Shri Lanka tra la popolazione Tamil e buddhista (da che mondo e mondo ci sono state guerre cristiane contro non cristiani, fra cristiani e cristiani, fra cattolici e protestanti, fra cattolici e cattolici, fra protestanti e protestanti, fra cristiani e buddhisti, fra cristiani e musulmani e via di questo passo; e questo cosa proverebbe? Forse solo che l’essere umano, cristiano, buddhista o quello che sia, guidato dall’ignoranza, odio e pregiudizio è in grado di commettere azioni disumane), e l’incidente in Giappone di pazzi squilibrati, le cui azioni assassine non hanno niente a che vedere con l’insegnamento del Buddha. Il tutto per affermare quello che la sua mente, in preda all’illusione, percepisce come la realtà dei fatti, e con l’intento, spronato dalla malafede e dall’avversione, di aprire gli occhi a persone oneste e, secondo lui, condurle a una comprensione “veritiera” del buddhismo. Agendo in tal modo il Dal Bosco non si rende conto (ma forse ne è ben a conoscenza e in tal caso sarebbe veramente gravissimo) che con le sue azioni quello che invece sta accrescendo è solo l’odio nel suo cuore e per di più sta creando confusione nelle menti di persone ignare e credule. Idem per giornalisti come, Camillo Langone, che ha scritto recentemente su Il Foglio “Preghiera contro il buddhismo” e simili articoli di una volgarità estrema, pubblicati poi sul blog di Don Camillo - blog gestito dal direttore di Fede & Cultura, la casa editrice che ha pubblicato il libro di Dal Bosco, e l’autore del presente articolo. Tutto questo, ci si potrebbe chiedere, a che scopo? Per diffondere odio, paura e ignoranza? Chi ha inteliggenza rifletta...!
Grazie a Dio ci sono persone come Roberto Dal Bosco!
Questo libro serve a fare luce sulla vera realtà del buddismo.
Grazie a Roberto Dal Bosco!
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