Lo scorrere inesauribile del tempo costringe a fare memoria e in qualche modo a rivivere un avvenimento tragico per l’intera nostra società.
La violenza organizzata e articolata dell’ideologia del benessere individualistico, del possesso incondizionato e della manipolazione tecnologica di persone e cose, il 9 febbraio di tre anni fa ha eliminato la presenza scomoda di Eluana Englaro. Si è voluto affermare in maniera violenta che la vita umana non è più un dono indisponibile a qualsiasi istanza umana - famiglia, strutture politiche e sociali, giuridiche -, ma al contrario che la vita umana è un oggetto su cui istanze diverse, e talora alleate, possono e debbono esercitare il loro potere.
Così Eluana è stata sacrificata, perché un’alleanza vasta, articolata e pervasiva ha deciso che la sua non era più vita, senza nessuna conferma scientifica e senza nessuna utilità di carattere sociale. Doveva
essere eliminata perché con il suo dolore e il suo silenzio, la sua esperienza di vita ricordava a tutti esattamente il contrario di quello che molti volevano affermare: che la vita appartiene al Mistero di Dio, da cui la riceviamo. E che quindi in nessun momento della nostra esistenza è possibile che qualcuno decida di sopprimere la vita in sé, neanche colui che ne è soggetto.La Chiesa, nella dedizione gratuita, lieta, limpida delle suore Misericordine di Lecco, aveva già aperto le sue braccia e il suo cuore ad Eluana. Esse l’avevano custodita per anni come il bene più prezioso, perché Eluana era viva e perché ogni persona che vive – ed Eluana era viva – è il bene più prezioso sulla Terra, perché è il segno di Dio.
Contro questo rispetto e questa passione per la vita si è deciso di scardinare tutto, perché fosse affermata la signoria dell’uomo e delle sue misure sulla realtà. E fosse aggirato qualsiasi anche timido riferimento al mistero dell’esistenza.
Così cattiva politica, cattiva scienza, istituzioni che debordavano dalle loro funzioni, hanno compiuto il delitto abominevole. Addirittura l’ideologia ha costruito una singolare inversione dei termini: chi imponeva in qualche modo l’eutanasia era il difensore della libertà, della libertà di vivere e di morire, era propugnatore di quella morte dolce che veniva non solo equiparata alla vita, ma diventava superiore alla vita. E coloro che difendevano in nome dei principi della ragione – prima ancora che della fede – l’assoluto valore dell’esistenza umana, venivano tacciati naturalmente di fondamentalismo, di imperialismo e quant’altro.
Così Eluana è stata condotta al macello come la pecora di biblico ricordo. E così - credo ben al di là della sua consapevolezza e della sua stessa capacità di dedizione – è stata associata al mistero di Cristo che muore e risorge; e noi cristiani non possiamo che pensarla e ricordarla così.
Questo gesto contro Eluana, cioè contro la vita, è stato più volte presentato come un passaggio fondamentale per il progresso della nostra società, per l’incremento della vita umana e sociale. Certo, dopo 3 anni vediamo tutti i giorni come la vita in Italia sia maturata in senso positivo: padri che ammazzano i figli e figli che ammazzano i padri; uomini e donne che risolvono il contenzioso della loro tormentata vicenda coniugale, o non, ammazzando e suicidandosi; la violenza irresistibile per le strade dove si ammazza nella migliore delle ipotesi per qualche migliaio di euro. Certamente la società italiana è stata maturata profondamente da questi orrendi gesti che si pensa abbiano un valore positivo.
La barbarie sembra incontenibile. Che non abbia alla fine ragione Benedetto XVI quando dice che “l’apostasia dell’uomo moderno da Gesù Cristo finisce per diventare l’apostasia dell’uomo da se stesso”? Anche su queste parole del Santo Padre, in questo triste - ma lieto per noi cristiani - anniversario, conviene riflettere.
* Vescovo di San Marino - Montefeltro
(tratto da La Bussola Quotidiana 8 febbraio 2012)
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