“Il più grande errore moderno non è l’annuncio della morte di Dio, ma l’essere persuasi della morte del diavolo”.
Nicolàs Gòmez Dàvila (1913-1994), originale pensatore colombiano, autore della frase contenuta nel libro: “In margine a un testo implicito”(edito da Adelphi), rivolge la sua critica non tanto all’autore della cosiddetta “morte di Dio”, Friedrich Nietzsche (1844-1900), ma piuttosto al mondo moderno ateo e relativista, che non sa più cogliere il significato religioso ed il primato di Dio. Attraverso aforismi illuminanti e paradossi, il filosofo colombiano ci ammonisce dello stato precario in cui versa la società odierna, incapace di leggere dentro (intelligere) gli avvenimenti e di comprendere la necessità del posto di Dio nel mondo, come condensato in questa eloquente frase: “La religione non è nata dall’esigenza di assicurare solidarietà sociale, come le cattedrali non sono state edificate per incentivare il turismo”. La presunta libertà
dell’uomo moderno, sintetizzata nella stolta persuasione della morte del diavolo, è sottolineata da Gòmez Dàvila in un’altra espressiva proposizione: “L’uomo moderno è un prigioniero che si crede libero perché evita di toccare i muri della cella”. Nello spazio angusto e triste della cella, che rappresenta l’autolimitazione della ragione e la negazione metafisica dell’esistenza di Dio, l’uomo finge di vivere, non vedendo né toccando, rannicchiato in un soggettivismo chiuso in se stesso, incapace di apertura e di meraviglia (“Rifiutare di stupirsi è il contrassegno della bestia” affermerà ancora lo scrittore sudamericano). Il monito di Nicolàs Gòmez Dàvila, severo ed ironico al tempo stesso, ci indica che è doveroso interrogarci su quale tipo di società stiamo costruendo e quale dovrebbe essere la funzione dei libri, almeno quelli da leggere: “I libri seri non istruiscono, interrogano”. L’autore colombiano, che non prescinde dall’esistenza di Dio, ci fa imparare sorridendo che l’uomo è il rifugio più fragile per l’uomo e che quindi non è possibile costruire solo sull’uomo, indipendentemente da Dio, vera roccia, vera fondamenta. Quali sono i presupposti indispensabili per rompere il guscio egocentrico (rappresentato dalla asfittica cella dell’uomo-prigioniero)?
dell’uomo moderno, sintetizzata nella stolta persuasione della morte del diavolo, è sottolineata da Gòmez Dàvila in un’altra espressiva proposizione: “L’uomo moderno è un prigioniero che si crede libero perché evita di toccare i muri della cella”. Nello spazio angusto e triste della cella, che rappresenta l’autolimitazione della ragione e la negazione metafisica dell’esistenza di Dio, l’uomo finge di vivere, non vedendo né toccando, rannicchiato in un soggettivismo chiuso in se stesso, incapace di apertura e di meraviglia (“Rifiutare di stupirsi è il contrassegno della bestia” affermerà ancora lo scrittore sudamericano). Il monito di Nicolàs Gòmez Dàvila, severo ed ironico al tempo stesso, ci indica che è doveroso interrogarci su quale tipo di società stiamo costruendo e quale dovrebbe essere la funzione dei libri, almeno quelli da leggere: “I libri seri non istruiscono, interrogano”. L’autore colombiano, che non prescinde dall’esistenza di Dio, ci fa imparare sorridendo che l’uomo è il rifugio più fragile per l’uomo e che quindi non è possibile costruire solo sull’uomo, indipendentemente da Dio, vera roccia, vera fondamenta. Quali sono i presupposti indispensabili per rompere il guscio egocentrico (rappresentato dalla asfittica cella dell’uomo-prigioniero)?
Il pensatore colombiano, ancora una volta, con grande maestria ed efficacia ci illumina con una imperiosa frase: “Le verità non stanno entro la circonferenza di un cerchio il cui centro è l’uomo. Le verità si stagliano in luoghi impervi: l’uomo si aggira seguendo i meandri di un sentiero sinuoso che le rivela, le occulta, e alla fine le mostra o le nasconde”. Usciamo da noi stessi, cerchiamo le verità alte e nobili, tocchiamo i muri delle nostre celle, allarghiamo la ragione. Solo così potremmo affermare, un po’ paradossalmente con Gòmez Dàvila, che siamo nostalgici dell’avvenire.
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