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Riportiamo il testo integrale della recensione di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro sul libro Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta di Roberto de Mattei, apparso in versione ridotta su “Il Foglio” del 7 dicembre e poi a seguire la recensione critica di Massimo Introvigne.
Pare strano perché è la prima volta che accade, ma, dopo decenni di vulgata progressista sul Vaticano II e il suo spirito, l’effetto è innegabilmente benefico: saliti in cima alle 632 pagine del saggio che Roberto de Mattei ha opportunamente intitolato Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, si può finalmente guardare negli occhi da pari a pari la decennale produzione sull’argomento messa in circolazione dalla scuola di Bologna. Nello studio dello storico romano ci sono documenti, metodo e criteri per misurarsi senza complessi di inferiorità con quella gioiosa macchina da guerra storiografica che, guidata prima da Giuseppe Alberigo e poi da 8Alberto Melloni, aveva prodotto fino ad oggi l’unica seria e organica ricostruzione del fenomeno conciliare. Ricostruzione tendenziosa, ideologica e persino eversiva, certo, ma fatta da gente che il mestiere di storico, innegabilmente, lo conosce bene.
Oltre quarant’anni dopo la chiusura del Concilio e davanti alle macerie fumanti della nuova Pentecoste,
questo merito varrebbe da solo l’impegno di leggere il saggio di de Mattei. Ma non è il solo perché, man mano si scorrono pagine e capitoli, si fanno più chiari i termini di un dibattito ben lontano dall’essere concluso con la semplice recezione del concetto di “ermeneutica della continuità” che illude tante anime belle ma poco pratiche di mondo. Il discorso alla curia con cui, nel 2005, Benedetto XVI ha parlato della contrapposizione tra due ermeneutiche del Concilio, lungi dall’aver chiuso il discorso, ha di fatto aperto il confronto tra due visioni inconciliabili della Chiesa.
L’opera storica di de Mattei si pone autorevolmente in questo agone, accanto a quella filosofica di un Romano Amerio e a quella teologica di un Brunero Gherardini. E, dopo averla letta senza paraocchi, riesce difficile immaginare che, nello scontro dichiarato con la scuola progressista, possano rimanere in piedi quelle vie di mezzo lacerate tra la constatazione del disastro e l’ossessiva ripetizione del mantra secondo cui la ragione della crisi consisterebbe nella mancata applicazione integrale del Concilio.
Documenti alla mano, de Mattei mostra con perizia che i problemi di stesura e di lettura dei testi conciliari nascono ben prima dell’assise vaticana e sono frutto di un teologia e di una filosofia votate alla “rottura” con il passato. Ne scende naturalmente che l’applicazione integrale di quella filosofia e quella teologia poteva portare solo sull’orlo del baratro con la ferma intenzione di buttarcisi dentro. Alla luce dei fatti narrati in quest’opera, risulta troppo evidente che la “continuità” c’è o non c’è: per quanto in buona fede, non è certo il tentativo di imbrigliare la deriva eversiva nella categorie della conservazione che la ricostruisce. La realtà non ha sempre la faccia che si vorrebbe.
Con la pubblicazione del libro di de Mattei, finalmente, siamo davanti alla contesa tra chi sostiene che, se il Vaticano II ha un difetto, è quello di non essere addirittura un Vaticano III e chi sostiene che, se di difetto si tratta, è quello di averne poste le premesse. Piaccia o non piaccia, questo è il terreno della contesa e questa è la materia del contendere. Ma sbaglierebbe chi conferisse alle due posizioni una valutazione speculare del Concilio inteso come “rottura”, vista in senso positivo o in senso negativo a seconda delle lenti utilizzate. Lo è effettivamente e dichiaratamente nella lettura progressista, dove il Concilio viene inteso come “evento” fondante della “nuova Pentecoste”. Ma de Mattei, pur mettendo in evidenza pericolose spinte eversive dentro e fuori l’aula conciliare, non parla mai di un soggetto in qualche modo nuovo: togliendo dal suo orizzonte storiografico il concetto mitico di “evento conciliare”, elimina automaticamente quello di “nuova Chiesa”.
Le due valutazioni non sono speculari poiché non si tratta solo di sostituire un segno meno là dove altri messo avevano un segno più, in quanto i soggetti presi in sono diversi per natura: una Chiesa completamente nuova secondo la scuola di Bologna, quella di sempre secondo lo storico romano. Questo studio segna dunque una svolta storica: il passaggio dall’era mitologica alla stagione della critica razionale. Pertanto non teme di documentare l’esistenza di posizioni divergenti e di tensioni che hanno dilaniato i lavori conciliari, troppo a lungo occultate da mani pietose. Sotto la lente dello storico emerge così un paradosso curioso e drammatico: quella “nouvelle teologie” che aveva lavorato per demitizzare i testi sacri e per eliminare dalla filosofia la metafisica di Aristotele e Tommaso, negli anni Sessanta individuò nel Concilio Vaticano II l’unico evento metafisico nella storia della Chiesa.
In questa prospettiva, sarà molto più difficile continuare a conservare l’immagine idilliaca di un evento che fu, stando ai fatti descritti, il terreno di uno scontro terribile. Ovviamente, questa constatazione non toglie nulla al carattere autorevole della ventunesima assise ecumenico nella storia della Chiesa. Ma rimane l’evidenza dei fatti con cui bisogna fare i conti.
L’autore riporta le lettere allarmate a Paolo VI nelle quali il cardinale Siri denuncia la piega presa da alcune commissioni conciliari, mette a confronto i documenti con cui Pio XI e Pio XII vietano ai cattolici di partecipare a incontri di preghiera ecumenici con le nuove tendenze emergenti dal Concilio… E così via per pagine e pagine, in fondo alle quali sorge una legittima e onesta domanda: l’errata interpretazione dei testi del Concilio è sufficiente a spiegare la vastità e la profondità della crisi della Chiesa? Il professore non risponde, ma aggiunge una considerazione di logica elementare: «L’esistenza di una pluralità di ermeneutiche attesta peraltro una certa ambiguità o ambivalenza dei documenti». Il che non significa impallinare l’enunciazione dell’esigenza di un’ermeneutica della continuità. Tanto è vero che c’è chi, da tempo, la pensa autorevolmente così: «I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opporsi alle attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI (…) ci si aspettava un balzo in avanti, e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza (…). La Chiesa del dopo Concilio è un grande cantiere; ma è un cantiere dove è andato perduto il progetto e ciascuno continua a fabbricare secondo il suo gusto». Firmato cardinale Joseph Ratzinger, 1985.
Il libro è acquistabile scontato all'url
https://fedecultura.com/Il-concilio-Vaticano-II-p75773578
Recensioni critiche:
Avvenire dell'1 dicembre 2010, Massimo Introvigne
dalla pagina facebook di Massimo Introvigne con allegato art. di Avvenire
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Recensioni critiche:
Avvenire dell'1 dicembre 2010, Massimo Introvigne
dalla pagina facebook di Massimo Introvigne con allegato art. di Avvenire
Introvigne su Avvenire sul libro di De Mattei: «Il Concilio? Discutiamone pure ma i suoi documenti vanno accettati»
Premessa Questa recensione critica, apparsa su Avvenire - un quotidiano, come si può immaginare, non casuale - del 1° dicembre, di un testo di Roberto de Mattei sul Concilio Ecumenico Vaticano II s’inserisce in un più ampio dibattito recente, cui sarà dedicato in buona parte il prossimo numero della rivista di Alleanza Cattolica, Cristianità. Rimandando a tale numero (attendete con pazienza) per una più ampia trattazione – e premesso che non esiste una «opinione di Alleanza Cattolica» sul Concilio (al massimo, Alleanza Cattolica spera di avere capito bene e d’illustrare fedelmente l’opinione del Magistero) – riassumo i termini della questione. (1) Non c’è dubbio che gli anni del postconcilio siano stati anni di crisi per la Chiesa Cattolica. Nella storica intervista Rapporto sulla fede del 1985 il cardinale Joseph Ratzinger, dichiarava: «È incontestabile che gli ultimi vent’anni sono stati decisamente sfavorevoli per la Chiesa Cattolica. I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti […] Ci si aspettava un balzo in avanti e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza. […] Vie sbagliate […] hanno portato a conseguenze indiscutibilmente negative». (2) Non c’è dissenso sul fatto che del Concilio Ecumenico Vaticano II sia a lungo prevalsa un’interpretazione nei termini di quella che Benedetto XVI chiama una sciagurata «ermeneutica della discontinuità e della rottura» che interpreta i testi conciliari non alla luce della Tradizione precedente, ma contro quella stessa Tradizione. Non si è trattato di posizioni estemporanee di qualche teologo, ma di una vera e soffocante egemonia. (3) Non solo dopo ma già durante il Concilio, dai principali media i documenti sono stati presentati quasi sempre secondo l’ermeneutica della rottura. come immancabili sconfitte dei «conservatori» e vittorie dei «progressisti», qualunque fosse effettivamente il loro contenuto. (4) Una volta però che si sono rigorosamente distinti i documenti dalla loro interpretazione e dalla presentazione mediatica, il Magistero insegna che i documenti devono essere anzitutto letti (molti che ne parlano, in effetti, non li hanno mai letti), quindi fedelmente seguiti nei loro insegnamenti essenziali. È vero che il Concilio si è voluto pastorale e non dogmatico, ma – come insegnava il servo di Dio Paolo VI già da subito, nel 1966 – «dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo magistero ordinario il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli». Nella lettera del 10 marzo 2009, relativa ai vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X consacrati da mons. Lefebvre, Benedetto XVI ribadisce che anche dopo la remissione della scomunica del 2009 essi non possono esercitare «in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa» fino a quando non sia chiara la loro «accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi». La posizione non di Alleanza Cattolica ma del Magistero della Chiesa è dunque che, mentre l’interpretazione dei testi del Concilio secondo l’ermeneutica della rottura che tanto male ha fatto alla Chiesa va rifiutata, gli stessi testi letti alla luce della Tradizione – il che talora a causa di formulazioni, che risentono del linguaggio degli anni 1960, non sempre felici richiede uno sforzo non facile, ma che il Papa ci assicura non essere impossibile – devono essere «accolti docilmente e sinceramente da tutti i fedeli».
«De Mattei e il Concilio, un metodo critico che svaluta i testi»
Massimo Introvigne (Avvenire, 1° dicembre 2010)
Il 22 dicembre 2005, in un discorso ormai famoso alla Curia Romana, Benedetto XVI ha distinto a proposito del Vaticano II un’errata «ermeneutica della discontinuità e della rottura» rispetto al Magistero precedente, e una giusta «ermeneutica del rinnovamento nella continuità». Il 24 luglio 2007, ad Auronzo di Cadore, il Papa ha aggiunto che l’ermeneutica della rottura è praticata sia dal «progressismo sbagliato» sia dall’«anticonciliarismo». Entrambi affermano che il Vaticano II ha rotto con la Tradizione, i progressisti per applaudire questa presunta rottura e gli anticonciliaristi per deplorarla. Ma in verità, per Benedetto XVI, non c’è nessuna rottura.
Per decenni, l’ermeneutica della rottura è stata proposta principalmente dal fronte del «progressismo sbagliato». Di recente sono apparse diverse opere che ripropongono l’ermeneutica della rottura in chiave anticonciliarista e talora cercano di rivalutare la figura, emblematica per questa lettura del Concilio, di mons. Marcel Lefebvre.
Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta dello storico Roberto de Mattei (Lindau, Torino 2010) si presenta, già dal titolo e dalla mole (632 pagine), come un libro molto ambizioso e una vera summa delle tesi anticonciliariste. A differenza di altri autori, che condividono con lui l’accusa al Concilio di avere rotto con la Tradizione, de Mattei manifesta un maggiore distacco nei confronti di mons. Lefebvre, rilevando che del cosiddetto «tradizionalismo» che rifiutava il Concilio il vescovo francese non fu mai «il capo», ma solo «l’espressione più visibile e alimentata dai mass-media».
De Mattei condivide però con i «lefebvriani» la tesi secondo cui l’ermeneutica della continuità auspicata da Benedetto XVI è ultimamente impraticabile. Infatti, per interpretarli alla luce della Tradizione, i documenti conciliari dovrebbero essere separati dall’evento-Concilio, che consta della sua preparazione, delle discussioni in aula – ricostruite da de Mattei in modo minuzioso, usando però molto meno le relazioni delle commissioni –, delle presentazioni contemporanee dei media e delle applicazioni successive.
Questa «artificiale dicotomia fra i testi e l’evento», secondo de Mattei, dal punto di vista dello storico e del sociologo non ha senso. Lo storico romano cita fra i sociologi che hanno applicato al Concilio le teorie dell’evento globale Melissa Wilde e il sottoscritto. Da queste teorie pensa di poter concludere che i documenti fanno parte dell’evento, fuori del quale perdono il loro significato.
Ma la teoria sociologica dell’evento non afferma che sia impossibile la distinzione fra un testo e il suo contesto. Se il testo fosse fagocitato dal contesto, il che applicando il metodo del libro potrebbe essere affermato di qualunque documento che si presenta come autorevole, saremmo di fronte a una sorta di strutturalismo, o a un’applicazione al Magistero di quelle teorie – pure criticate da de Mattei con riferimento alla Bibbia – che riducono la sacra Scrittura alla sua sola redazione e forma, dove ogni brano è smontato e decostruito in un gioco di riferimenti perpetuo in cui nulla ha più autorità.
La buona scienza dovrebbe servire a spiegare i documenti, non a farli a pezzi. De Mattei nega la continuità dei documenti del Concilio con la Tradizione, ribadita dal Papa anche nella recente esortazione Verbum Domini. Ripropone così purtroppo, ancora una volta, quell’ermeneutica della rottura che Benedetto XVI denuncia come dannosa.
5 commenti:
E che caspita: se non era mai stata scritta 'sta storia, ci sarà pure stato un motivo, no?!
E ora, chi la scrive la storia dell'elogio alla laicità di PapaRatzi?
e si vuole mettere a tacere l'apertura alla laicità del Papa?
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