Troppe parole

di Giovanni Zenone
Il problema della Chiesa - come ha spiegato con chiarezza cristallina Romano Amerio in Iota unum - è l'incapacità di esercitare l'autorità. Questa incapacità da un lato è, come dice Amerio, desistenza dell'autorità, cioè mollezza davanti ai crimini, agli eretici, ai pubblici peccatori e disobbedienti interni (si pensi a Enzo Bianchi, il cardinal Martini, Mancuso, l'università san Raffaele di Milano ecc.). Mollezza che è un laissez faire condiscendente e intollerabile, perché significa aprire le porte dell'ovile ai lupi.
Dall'altro lato quest'incapacità si realizza in un autoritarismo feroce nei confronti dei buoni, dei santi, degli obbedienti; si pensi alla persecuzione di stampo
comunista stalinista che stanno subendo i Francescani dell'Immacolata, una delle congregazioni religiose con più vocazioni, cui è stato chiuso il seminario, la casa di formazione, la docenza e cui si chiede una firma di fedeltà assoluta non alla Chiesa, non al Romano Pontefice, non ai superiori, non alla Dottrina della Chiesa, ma solo al Concilio Vaticano II, come se esso fosse l'unica ed esaustiva espressione del Sacro Magistero. Tra l'altro va detto che il decreto di soluzione finale contro i Francescani dell'Immacolata porta la firma Papa Francesco.
Orbene, questo problema gravissimo della Chiesa non saprei come si potrebbe risolvere. Se gli stessi Papi ne sono affetti - è palese - chi mai potrà salvarci da tanta sciagura?
Tuttavia vorrei segnalare un'altra pecca, e non di poco conto, che affetta la Chiesa a tutti i livelli. Le parole, le troppe parole, le troppe chiacchiere, i troppi documenti, i troppi progetti pastorali, lettere pastorali, esortazioni apostoliche, documenti di conferenza episcopali, di congreghe diocesane, di diocesi,  di sinodi diocesani, di parrocchie... Miliardi di fogli di carta alla redazione dei quali si spreca l'attività di sacerdoti che potrebbero e dovrebbero invece celebrare la messa, confessare, visitare i bisognosi, evangelizzare, predicare, battezzare... Intere foreste distrutte per produrre questa carta straccia che - per fortuna! - nessuno mai leggerà, ma che è tuttavia un enorme investimento buttato nel nulla. Quante parole inutili sentiamo nelle prediche domenicali! Quanta chiacchiera nella quale si percepisce il vuoto, il gusto onanistico del sacerdote di turno cui piace sentirsi, ascoltarsi. E l'orecchio dei fedeli - ancora una volta, per fortuna! - si chiude.
Proporrei come soluzione che ogni ente ecclesiale a qualunque livello se volesse produrre un "documento" lo redigesse in un numero di pagine mai superiore a 10 e che venisse sottoposto a previa approvazione di un impiegato della Congregazione per la Dottrina della Fede. UN solo impiegato solo, per tutte le pratiche provenienti dalla Chiesa universale. In questo modo l'inefficienza burocratica sarebbe - almeno una volta - a servizio del bene. Le conferenze episcopali, i vescovi, le diocesi e tutte le entità cui venisse il ghiribizzo malsano di scrivere un documento sarebbero scoraggiati e smetterebbero in buona parte di imbrattare carta. Quei temerari, però, che osassero insistere, vedrebbero bloccato il loro fervorino da anni e anni di attesa perché un unico impiegato dedicato a questa mole di carta e inchiostro sarebbe sempre in ritardo.
Confesso di non aver letto nemmeno la maggior parte delle encicliche papali recenti, che pur sono Sommo Magistero. Figuriamoci se mi vien voglia di leggere le lettere pastorali, i documenti sinodali e tanta altra carta imbrattata dallo zelo fuor di luogo di preti e vescovi che hanno rinunciato alla loro unica missione: quella di annunciare la parola di Dio, di battezzare e di santificare.

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